La biblioteca più autentica al mondo…

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<<Qui a sinistra ci sono i bagni (vi riconobbi lo stesso marmo che Samantha aveva nel suo regno testa-ragazze), quello è l’ingresso per la serra e lì dritto vi è l’enorme biblioteca, una delle più grandi qui nel Nord.>>

Non lo feci neppure finire.

<<Una biblioteca? Ti prego, fammici entrare!>>

Titubante mi disse:<<Non si potrebbe. L’ingresso è riservato solo ai membri dell’Agenzia, qui ci sono testi “sacri” mi capisce, non credo di poterLe consentire l’accesso.>>

Lo guardai sfoggiando tutto il fascino possibile.

<<Avanti Charlie, sai bene anche tu che chiunque abbia vissuto qui sia stato come te e me in questa biblioteca, non c’è nulla di male, fammi entrare e saprò ricompensarti economicamente.>>

<<Naturalmente non accetterò la Sua offerta, ma l’ha voluto Lei Madame!>>

Aprì le porte giganti di quella che era senza dubbio la più grande biblioteca che avessi mai visto in tutta la mia vita, adoravo i libri, il loro odore, più erano vecchi, più mi soffermavo ad annusarli.

Avevo sempre adorato leggere e scrivere, e lo ringraziai con gli occhi bagnati delle prime lacrime, quelle che poi non scendono fino alla guancia, ora sì che mi sentivo davvero nel paese delle Meraviglie!

Il soffitto o forse dovrei dire i soffitti erano alti oltre 15 metri, la libreria arrivava a tutta altezza.

Credo fossero milioni di libri. Lo interrogai.

<<Ma quanti libri ci sono qui?>>

Mi guardò come se gli avessi chiesto chissà cosa.

<<Madame e Lei crede davvero che qualcuno lo sappia? Forse neppure i membri dell’Agenzia potrebbero rispondere a questa domanda! Vogliamo proseguire con il tour?>>

Pensandoci bene, avevo una gran voglia di rimanere lì a leggere qualche testo.

Così seguii con il dito indice quello che il mio destino mi avrebbe indicato, e cioè salii su una delle lunghe scale e presi il libro che l’istinto mi indicava: “La Massoneria e i suoi membri”.

Tema interessante.

Dal momento che ci ero entrata, mi interessava sapere qualcosa su coloro che mi stavano iniziando al mercato più fruttifero al mondo.

Sedetti al mastodontico tavolo in legno di faggio, era molto antico, aveva almeno 300 anni.

Era ancora possibile vedere tutti gli interventi che i restauratori avevano fatto su di esso per preservarlo.

Distesi il braccio intero sul tavolo, sentivo le piccole gobbe che negli anni avevano creato un’inarcatura lungo le venature del legno di questa meravigliosa opera artigianale.

Poggiai anche l’orecchio per sentire se avesse qualcosa da dirmi.

Charlie mi guardava quasi come fossi matta.

Aldilà del muro-diario e confessioni di una Escort, capitolo ventiduesimo di Letizia Turrà

Photo: Google

La dose fatale…della spia.

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Prendo il volo per Nuova Delhi, check-in come da manuale e sportello 51 per entrare nel Gate per incontrarlo.

Lester era un avvocato che “gonfiava” le parcelle dei clienti e depositava il surplus interamente su un conto in una banca aperto alle Hawaii, dove il denaro riciclato veniva versato periodicamente e in automatico. Un gioco da ragazzi, se non fosse che aveva fottuto anche quelli sbagliati.

Ero lì per loro, dovevo fargliela pagare per loro conto.

Quindi lo legai a letto e lo feci godere come il mio mestiere richiedeva, poi presi una bustina di Pentothal, la sciolsi in un bicchiere di brandy e glielo servii.

Fu una dose sufficiente perché mi dicesse numero di conto, password e server di accesso.

Ero diventata brava a ricavare le informazioni che desideravo.

Non sapevo se la dose avesse potuto essergli fatale, ma non mi importava, la missione era compiuta. Qualche cadavere era plausibile lungo il percorso.

Aldilà del muro-diario e confessioni di una Escort, capitolo Venticinquesimo di Letizia T.

Photo: Internet

Perdere la verginità con tuo fratello.

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Si mise le mani fra i capelli e iniziò a singhiozzare.

“Se ti succedesse qualcosa la mia vita non avrebbe più senso capisci? Lo capisci o no? Io non posso perderti, ho bisogno di sapere che stai bene sempre, ho bisogno di averti qui per sentirmi al sicuro.”

Quelle parole risuonarono nel mio petto e nelle mie meningi come tamburi dissonanti; mi sentii nuovamente confusa di fronte a quella specie di dichiarazione d’amore giunta proprio da mio fratello.

I miei occhi si illuminarono.

Prese la mia testa fra le mani e mi baciò. Un bacio umido, audace e pulsante.

Sentii per una seconda volta cosa si provava a baciare qualcuno che ti sta trasmettendo amore. Lo abbracciai anche io, senza neppure pensare al fatto che fosse un legame di sangue quello che ci univa.

Dovevo proprio essere impazzita quando mi portò in camera, dove lo lasciai fare.

Mi slacciò la camicetta lentamente, bottone per bottone, e toccò il mio seno acerbo. Lentamente la sua mano arrivò in basso e fu un’emozione dalla quale non potei fare a meno di venire travolta.

Il mio corpo fremeva come in preda a un impulso elettrico, riuscii solo a dirgli di non smettere.

Facemmo l’amore quel pomeriggio.

Perdere la verginità con mio fratello non fu terribile come avevo sempre pensato.

Più volte lo avevo immaginato e desiderato, ma la mia mente spazzava via quel pensiero quasi in maniera immediata, per i sensi di colpa e l’inconcepibilità di un gesto incestuoso.

Sapevo che mi amava al punto che solo lui poteva custodire il mio segreto nel pieno rispetto e la consapevolezza che fosse come un tesoro immenso.

Guardai le lenzuola, erano macchiate da gocce di sangue.

“Ti ho fatto male?” carezzò i miei capelli.

“No, assolutamente. Ma quello che mi agita di più sono queste macchie di sangue sul lenzuolo, come posso giustificarle?”

“Dirai che hai avuto il menarca e nessuno lo saprà mai, sarà il nostro piccolo segreto.”

Abbandonò la mia stanza quasi seminudo e con il passo lascivo, simile a un avvoltoio.

Quando restai da sola sopraggiunse la sensazione di nausea per ciò che avevo commesso. Ero stata a letto con mio fratello, non uno qualunque… era mio fratello!

Come era potuto succedere?

Non potevo amarlo e permettere ad un impulso sessuale di essere consumato con chi era sangue del mio sangue.

Ero una scellerata, ecco cos’ero.

Letizia T.

Photo: Google research

Tutti i diritti sull’opera sono riservati.

La felicità non ha niente a che vedere con “quanto si possiede”…

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<<Mi dispiace.>> mi disse andandosene.

Certo non avevo idea che Virginia avesse bisogno d’amore fino a quel punto. Il motivo che la avesse spinta ad ubriacarsi mi restava ancora sconosciuto.

Andai in bagno a bussarle.

<<Virginia, mi fai entrare?>>

<<No! Vattene!>>

<<Devo parlarti, apri!>>

Aprì la porta e le sedetti accanto vicino alla vasca.

<<Vorrei solo capire cosa ti succede. Spero non sia il fatto che sono arrivata io a creare scompiglio. Da sola non posso bastare per cambiare la visione della tua vita, non ti pare?>>

Lo dissi in un italiano un po’ distorto ma mi capì.

<<No, non sei tu, la realtà è che la vita non è una fiaba. Vedere te mi ha fatto capire come talvolta non sia il fatto si avere un benessere economico a renderci felici, ma il nostro stato interiore. Guardati, tu vieni dal delirio di un paese morto che è crollato, hai lasciato tua madre e i tuoi amici e pur avendoti la vita privato di tutto, sei felice. Io invece qui ho tutto e mi sento infinitamente infelice! Ecco che c’è, stare accanto a te ha peggiorato la visione che ho di me!>>

<<Io invece avrei voluto avere la tua vita, essere bella come te! Guardati, hai un seno bellissimo, dei capelli bellissimi, se fossi un ragazzo vorrei baciare subito le tue labbra, ma che dici?? Felicità è una parola troppo pretenziosa alla nostra età, abbiamo ancora una vita davanti!>>

La guardai sorridendole con gli occhi e ci abbracciammo.

Puzzava tremendamente di alcol.

<<Non vorrai farti trovare in queste condizioni da tua madre? Ora fatti una doccia, questi li consegno io alla domestica per lavarli.>>

Mio fratello stava ancora lì sul davanzale della finestra a guardare il sole che spuntava dietro un cipresso secolare.

<<Scusami, perdonami.>>

<<Per cosa dovrei scusarti.>>

<<Quando beve dà fuori di matto, dice cose che non hanno senso come…>>

<<Come il fatto che sei innamorato di me? Tranquillo, mica le ho creduto, tra fratelli queste cose non si fanno.>>

<<Già.>> disse, e si accese una sigaretta.

Letizia T.

Photo: Facebook

La conoscenza del mio corpo e quel viaggio su una nave misteriosa.

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Andai in bagno e guardai la mia figura, esile, ero all’inizio dell’adolescenza, non conoscevo nulla sul mio corpo o sulla mia sessualità, avevo solo avvertito un piccolo pizzicorìo lì sotto nel giorno in cui Cesare mi aveva baciata, una scossa forte, un impulso irrefrenabile che non riuscii a definire con chiarezza.

Tutto in me era in formazione, il mio seno era appena accennato, i miei fianchi poco rotondi, le mie braccia sottili e magrissime, le mie labbra piccole anche se ben delineate.

Ed ora anche i miei sentimenti interiori si trasformavano, passavo le mie dita tra i capelli lunghi e castani, e il ricordo delle orchidee era sempre vivo, lì dentro l’iride del mio occhio scuro e solitario.

Papà mi aspettava sul pontile, aveva le braccia poggiate sul davanzale e aveva di fronte il mare, immenso e sconfinato al calare del tramonto.

Le luci erano una cosa spettacolare e mi accorsi che “Constitution” era una nave molto più imponente di quelle viste prima di allora, solo che il suo color petrolio non ne lasciava intravedere le potenzialità. Come molte cose quando sono nascoste e non siamo in grado di percepirle.

Così la nave rappresentava il mistero, l’ignoto, lo sconosciuto che mi conduceva verso un mondo sconosciuto e il mare era il percorso che mi avrebbe condotto fino a lì.

Tra le mani avevo una piccola bambola realizzata con pezzi di lattine del cibo che di nascosto avevamo consumato. L’aveva fatta mio fratello per me. Con i pezzi intagliati aveva ricavato gli occhi, la bocca, le braccia le gambe e per i capelli aveva usato lembi di stoffa ottenuti ritagliando la stoffa di copertura del piccolo container.

Lo trovai un pensiero molto dolce.

<<Grazie! Ma perché fai tutto questo per me?>>

<<Perché sei mia sorella e un fratello è questo che dovrebbe fare con una sorella, sappi che su di me potrai sempre contare.>>

Stringendo la mia bambola di latta il mio sguardo si perse nel panorama e quell’attimo mi sembrò fosse eterno, cristallizzato, in una immagine quasi nebulosa.

Era surreale. Assolutamente surreale.

Come surreale fu pensare che a parte il personale di bordo composto da sei persone, quella nave non trasportava nessun altro passeggero… all’infuori di noi.

Letizia T.

Tutti i diritti sono riservati e tutelati dal diritto d’autore.

Photo: Repertorio personale – Mombello, 2014

Quando la violenza si trasforma in amore per il carnefice.

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Ho visto donne che, soffrendo a causa di un amore sbagliato, non avevano la forza di abbandonare quella condizione.

Era come se il male le risucchiasse convincendole che il dolore era necessario.

Dopo il primo schiaffo ricevuto, quando il livido scompariva, tornavano a sorridere fino a che il corpo non veniva lacerato dalla successiva violenza.

La mente era consapevole che quel momento sarebbe arrivato, eppure una donna nel cuore continua a sperare che quel momento non si ripeta più, fino a quando la memoria la riporta davanti a uno specchio e la costringe a guardarsi.

Chissà perché seguire il proprio cuore ad alcune persone sembra la cosa più giusta e poi quando si rendono conto che hanno sbagliato non sanno come raccogliere i cocci del loro animo frantumato.

Ci sono passioni che non hanno limiti e limiti senza alcuna passione.

Nel cuore ero cosciente di essermi lasciata portare oltre un confine, quello del rispetto per me stessa che non avrei mai dovuto permettere fosse oltrepassato.

Avevo permesso ad un uomo, solo per via del suo fascino e del suo magnetismo, di portarmi via dalle cose più care che avevo costruito.

Ed ora ricadevo nell’errore più comune, quello di provare ancora un sentimento per colui che superando ogni limite senza passione né amore nei miei confronti, aveva osato violare la parte più salda di me.

Non mi rendevo conto ancora di come fosse potuto accadere.

Mi sentivo come se fossi stata in coma per mesi ed al mio risveglio non riconoscessi più il mondo attorno a me.

Nessuna delle persone del passato che conoscevo aveva più lo stesso volto, gli odori non erano più gli stessi. Neppure i miei sentimenti avevano lo stesso peso di sempre.

Tutto era uguale e diverso, senza più nessuna virtù a sostenerlo.

Non ero la donna che mi aveva insegnato ad essere mio nonno, forte e tenace, attaccata alla famiglia.

Un tempo possedevo le chiavi per la felicità e le avevo cedute ad altre persone, lasciando che loro gioissero per ciò che invece era mio di diritto.

Mi ero così ritrovata schiava della mia ricerca di quel qualcosa di differente, senza rendermi conto che avevo già tutto ciò che un essere umano normale possa desiderare: un uomo che mi amava, due splendidi figli, un lavoro normale e una casa normale.

Era stata la nostra normalità a piacermi e nello stesso tempo a farmi paura solo perché nella realtà quotidiana non mi ci ero saputa vedere anche come madre e moglie, oltre che come donna.

Da riccamente vestita, ora ero nuda, completamente nuda.

Letizia Turrà, Il labirinto di orchidee (2016)

Photo from web

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La prima volta che misi una maschera… Confessioni di una Escort.

MASK

Mi trucco bene per uscire, il posto mi hanno detto che non è troppo lontano, lo raggiungerò con l’autista.

Si trova in aperta campagna, quindi in un luogo molto isolato.

Qualche tempo dopo arriviamo davanti a questa reggia che non ho nemmeno idea di chi sia e dove si trovi esattamente, conosco meglio il resto del mondo ma non l’Italia. Forse questa non è neppure l’Italia, siamo al confine con qualche luogo.

Mi stringo il polso per la tensione, il microchip è perfettamente installato, ormai è entrato nella mia carne al punto che non sembra io abbia subìto nessuna impiantazione.

Arrivo al campanello davanti a una guardia. Gli do il mio numero di pass, lo stesso codice che Samantha mi ha dato e che devo dare ogni volta me lo chiedano.

Entro nell’atrio e non mi capacito di quante scale debba fare per accedere a questo palazzo.

Avrà circa 80 camere, sembra la Reggia di Versailles, all’interno ogni ragazza naturalmente mascherata, è sottobraccio a qualche ricco esponente, non si sa neppure di cosa, ma di certo qui non troverò uomini senza risorse.

Si avvicina una donna che tiene sotto braccio un altro uomo. Si tratta di Samantha.

<<Ti presento Amanda Roberts, lei è la nostra new entry, sono sicura saprà soddisfare ogni tuo bisogno.>>

Entriamo in una grande sala con divani di velluto rosso e librerie di scaffali di faggio, in lontananza si ode una musica suonata al pianoforte, la “Sonata Clementi” op. 26 n°3, ci sono persone che fanno sesso sui divani, altri fanno orge, anche tra uomini.

Il mio uomo invece è un tipo solitario, lui preferisce i “rapporti a due”.

Ho imparato diverse cose sulle strane abitudini di certi membri, ed ho capito che in realtà la Massoneria è una parola che fa tanta paura ma non è così potenzialmente pericolosa come si possa pensare.

Erano famosi in passato per aver dato esilio e aiuto a coloro che dovevano essere processati, e per questo non erano ben visti neanche dalla Chiesa.

Ciò che non ti dicono e che non ho trovato neppure nel libro, è che ci sono membri aderenti a sette sataniche legate all’esoterismo e all’occultismo in un modo deviato, che lavorano alle spalle di importanti organizzazioni benefiche al solo fine di distruggere il lavoro di chi sta facendo il bene della comunità arricchendo se stesse.

Nulla di strano quindi, considerando che al mondo esiste la parte cattiva e la parte buona, e dentro quella buona c’è un insieme di cattiveria e bontà.

Tratto dal Capitolo Ventitreesimo de “Aldilà del muro-Diario e confessioni di una Escort” di Letizia T.

Photo: Internet

Nonna Agnes

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Il giorno in cui mia nonna morì colpita da un ictus mio nonno si era recato ad un importante seminario per il quale avrebbe dovuto assentarsi per tutto il giorno.

Nonna Agnes era molto adirata perché i miei genitori avrebbero festeggiato l’anniversario in un esclusivo ristorante prenotato dalla nonna solo per l’occasione ed egli non ne avrebbe preso parte.

Lui, che non amava feste e ritualistici cenoni organizzati, era solito rifiutare ogni forma di invito preferendo di gran lunga la lettura di un saggio in solitaria e un buon sigaro toscano, abitudine altrettanto da lei detestata.

Così era uscito nonostante l’avversione di Agnes.

Ricordo che ci recammo al ristorante perché non ci aveva aperto la porta di casa nonostante il nostro suonare insistentemente il campanello e pensammo fosse andata lì per farci una sorpresa.

Non vedendola arrivare capimmo che c’era qualcosa che non andava.

Tornati indietro a casa scoprimmo poi la realtà.

Un elemento mi colpì nel vedere il suo corpo riverso sul pavimento: non portava le scarpe e stringeva nella mano destra un piccolo ramo di ciliegio.

Fu un mistero che ancora oggi non riesco a spiegarmi.

Sparirono anche i suoi gioielli ed insieme ad essi anche Astasia, “Madame Chat noir”. Nessuno la vide mai più.

Bisognava informare nonno Nestor.

Prima di rincasare era passato a prenderle dei fiori per scusarsi. Ma al suo ritorno, non aveva più una moglie.

Ecco cosa fa il tempo: toglie e non restituisce.

Da “Il labirinto di orchidee” di Letizia T.

Immagine: Fjodor Rokotov, Ritratto di donna in abito blu con guarnizioni gialle (1760)

Le orrende favole di Nonno Nestor

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-“Nonno ho paura, mi racconti una favola?” dicevo a mio nonno sepolta sotto la coperta che tenevo con le mani al di sopra del naso facendo uscire solo gli occhietti.

Si mise al mio fianco e accese l’abat-jour azzurra.

-“Di cosa hai paura? Le paure sono solo nella nostra mente tu non devi lasciare che la paura venga nei tuoi sogni. Ti racconterò una favola. Una favola che parla di come le cattive azioni ritornino al mittente. C’era una volta una donna cattiva, tanto cattiva, che criticava e brontolava contro chiunque le capitasse a tiro. Ella aveva una figlia femmina, brutta e cattiva quanto lei. I bambini continuavano a sparire e nel villaggio si mormorava che la brutta signora avesse il potere di far avvicinare alla sua casa i bambini per poi ucciderli, farli a pezzi, metterli in salamoia e mangiarli quando aveva fame insieme alla figlia. Una notte di luna piena gli abitanti cacciatori del villaggio le tirarono un brutto colpo: uccisero la figlia, la fecero a pezzi e la recapitarono alla madre, la quale pensando che si trattasse di un gesto gentile a lei rivolto dai compaesani, mangiò con fretta e ingordigia la conserva. Fu orribile constatare, alla fine del vasetto, che quella che aveva appena mangiato era proprio sua figlia! La riconobbe dall’occhio e fu orribile per lei. Ecco che ebbe ciò che la morale di questa favola prescrive: se fai del male, del male riceverai.”

Sbarrai gli occhi.

-“Ma nonno è orribile! Non mi piace, così mi fai venire più paura, adesso devi rimanere accanto a me altrimenti non riuscirò più ad addormentarmi!”

-“Ma se ha una bellissima morale, quella della giustizia, del bene che prevale sul male! Avresti preferito ti raccontassi di castelli, principi e principesse? Tutte cose irrazionali che non vedrai mai nella vita reale, mentre invece se saprai essere moralmente giusta la vita saprà ricambiarti, sempre.”

Col tempo è iniziata a venirmi nostalgia di tutte quelle cose che la maggior parte delle persone ritiene scontata e di cui non gode più, anche delle orrende favole del nonno dalla giusta morale e dei suoi regali che invece sì, erano magici.

Ed ora capisco che le più grandi delusioni si prendono proprio da piccoli, quando capiamo che la realtà non è sempre quella che ci aspettiamo.

Alcune delusioni arrivano dagli oggetti, altre dalle persone.

Da “Il labirinto di orchidee” di Letizia Turrà

Photo: Internet

Persone d’istanti e persone distanti…

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La distanza. …cos’è poi la distanza?

Un distacco può essere solo apparentemente chilometrico, perché due o più cuori che si pensano non sono distanti, due o più persone che si sussurrano non sono distanti.

I cuori freddi fanno la distanza, le persone che urlano per parlarsi, quelle sí, sono distanti.

C’è stato un tempo in cui ho desiderato averti lontano da me, e un altro in cui non mi capacitavo di quanto tu fossi vicino.

A volte ti sento ancora quando il vento mi accarezza i capelli…

Letizia T.

La critica della settimana: “Wild”, quando una scelta estrema ti fa ritrovare chi sei.

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Perdere qualcuno che amiamo può essere destabilizzante.

Di improvviso ci ritroviamo immersi in un mare di contraddizioni nel quale rischiamo di affogare se non troviamo la spinta per ricominciare a nuotare, fino alla riva.

E’ questo che deve aver provato Cheryl Strayed, protagonista della storia autobiografica narrata nel libro “Wild”, che ha visto la sua esperienza trasformarsi in un film intenso, interpretato dalla bravissima Reese  Witherspoon.

Cheryl è una bambina bionda e delicata, costretta a vedere subire da sua madre ogni sorta di violenza da parte dell’uomo che ama.

Ha anche un fratello al quale è molto legata. Il loro sembra un legame indissolubile fino al momento in cui la madre si ammala e muore di cancro a soli 45 anni.

La “corda della famiglia” a quel punto si spezza di netto e Cheryl, convinta di essere rimasta sola nel suo dolore, finisce nel vortice dell’eroina e del sesso promiscuo.

Nella realtà Cheryl non è sola: ha un marito, Paul, che le rimane accanto nonostante tutto per sette anni, al termine dei quali entrambi stabiliscono che la loro storia è ormai giunta al capolinea e per suggellare quel momento si fanno tatuare un cavallo sul braccio sinistro.

Quel cavallo, così emblematico e così importante per lei perché la ricollega alla madre – amante dei cavalli – sarà per Cheryl il punto di partenza per lavorare su se stessa.

Deciderà di intraprendere un viaggio estremo della durata di 3 mesi, percorrendo a piedi 1.100 miglia da Lost a Trovato sul Pacific Crest Trail, con soltanto uno zaino contenente la sua sopravvivenza nel deserto ad accompagnarla.

Le emozioni saranno molteplici e Cheryl si sentirà spesso combattuta, persa e impaurita, non ritenendo fino alla fine di stare compiendo un viaggio coraggioso.

What Gear Did Cheryl Strayed Use While Hiking the PCT ...

Non comprenderà fino a che non si troverà di fronte al “The Bridge of God” – il ponte di Dio, nell’Oregon – che il vero viaggio risiede nel cammino che abbiamo compiuto internamente e non solo nel singolo passo o chilometro che le nostre scarpe hanno consumato.

Guarderà il fiume e sentirà davvero la vita scorrere dentro di lei, avvertirà il respiro vibrante nel suo petto, lascerà che la sua vita finalmente prosegua libera da quei demoni che l’avevano trascinata all’inferno.

Ho molto apprezzato questo film per la similitudine tra Cheryl e Laura, la protagonista del romanzo che sto scrivendo (che poi è simile pure alla mia); entrambe hanno perso qualcuno che amavano, entrambe scelgono di vivere da sole e senza nessuno, il proprio dolore.

Entrambe chiudono il cuore, per poi riaprirlo.

Non è semplice guarire dal dolore, ma è possibile che nel viaggio, sia esso semplice o estremo, troveremo il senso a quel percorso che proprio senza quel dolore, non avrebbe avuto senso di esistere.

Letizia Turrà

Lo scotto di una vita da puttana…

Nudo+di+donna+bianco+e+nero+3663

Mi guardo allo specchio.

I miei occhi sono piccoli da quante lacrime ho versato, partecipare al funerale di Andy è stato anche peggio che spargere le ceneri di mio padre su quella spiaggia.

Non avevo più nessuno. Se avete perso qualcuno che amate, allora sapete come ci si sente.

In quel momento capii che la vita è una scelta che va assaporata giorno per giorno, senza paura di limitarsi, perché all’amore vero non vi è limite.

Ne ero cosciente ora dopo essermi consumata nei miei continui ripensamenti, per mezza vita avevo sempre limitato me stessa nel lato sentimentale quando non avevo invece limitato la mia parte fisica, che avevo dato senza alcun pudore a qualsiasi uomo.

Oggi posso dirVi che mi sono resa conto che fare quello che ho fatto è stato un gesto di viltà nei confronti della mia vita stessa, avrei potuto scegliere di fare la commessa o la cameriera o peggio ancora, l’impiegata sacrificata su una scrivania, ed invece ho fatto la puttana perché convinta che era solo il mio corpo ad esserne coinvolto.

Ora so perfettamente che non è così, anche la tua anima viene compromessa da certe scelte.

Ho narrato la mia storia perché possiate comprendere che ad ogni scelta fatta nella vita corrisponderà infine un esito.

E’ vero, ho scelto io (almeno apparentemente) quale doveva essere il mio destino, ma ne ho riportato anche delle grandi sofferenze quando è stato il momento di fare dei bilanci del mio vissuto.

Quello che io ho passato non è una cosa che potrei raccontare a chiunque, neppure guardando i miei nipoti riuscirei mai a dirgli che lavoro ho fatto per un terzo della mia esistenza. Non me ne vergogno perché mi ha garantito di stare bene e di far stare bene le persone che amo, ma non ne parlerei con il primo che incontro per strada e non mi sentirei più orgogliosa di chi sceglie di lavorare con umiltà la terra piuttosto che dentro un ufficio. Non vi è differenza tra chi è schiava di un amore distorto e chi invece è schiava di un datore di lavoro, Vi assicuro.

Non Vi dirò se mi sono pentita, non è quello che conta e non credo che Vi aiuterebbe a capire meglio la storia di una donna che sceglie di diventare Amanda, dimenticando per sempre di essere Louisiana.

Aldilà del muro-Diario e confessioni di una Escort di Letizia T.

http://www.bookrepublic.it/book/9788868559694-aldila-del-muro-diario-e-confessioni-di-una-escort/

Rosso Rossetto – Make up Day! Quando una piccola realtà merita di essere premiata!

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In un tempo in cui le attività non fioriscono perché la crisi dilaga ovunque, vi sono piccole realtà che invece nascono e cercano di resistere differenziandosi da tutte le altre.

Attività che vanno promosse perché il coraggio di coloro che investono su se stessi è da premiare.

Se è vero che la crisi è ciclica e a volte ricreata dai sistemi forti, è anche vero che la gente ha paura di investire, quindi non ha il coraggio di aprire la sua realtà per mancanza di denaro e, sovente, di sovvenzioni da parte delle istituzioni.

Ho avuto la preziosa opportunità di essere truccata da una ragazza giovane, che ha aperto il suo negozio (il nome è una geniale pensata “Rosso Rossetto”), nel centro del piccolo Comune di Catanzaro Lido (Calabria), e che sin da bambina ha coltivato il sogno di fare la truccatrice.

Diplomata presso l’Accademia Nazionale del cinema di Bologna, Ilenia, bellissima ventitreenne, supportata da due splendidi genitori, ha creato la sua piccola realtà dove le persone possono, anche solo per un giorno o in vista di un’occasione speciale, trasformarsi sentendosi meravigliose e belle.

E’ questo ciò che ho provato io dal momento in cui ho messo piede all’interno del negozio, riscontrando un’ospitalità e un’accoglienza incredibilmente piacevole.

Ilenia è una ragazza dall’approccio delicato, nei modi di fare ed in come si pone nei confronti del make up. Essere sfiorati dalle sue mani su una comoda poltrona rossa (il mio colore preferito) posta in fondo al negozio nella tranquillità, ti fa immergere nel magico mondo della bellezza dove sai che dopo esserne uscita non sarai come quando ne sei entrata… una sorta di macchina del tempo del make up!

Io stessa non potevo credere al risultato ottenuto una volta terminata la sessione che è durata circa 50 minuti.

Questi sono gli interventi che Ilenia ha eseguito su di me raccontati da lei:

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“Ho iniziato dalla base, ho coperto le occhiaie con un correttore fluido e sono passata direttamente al fondo, un fondo leggero, infatti il fondotinta che ho utilizzato Aegyptia ha dato il nome di plume fluid proprio per esaltare la leggerezza.

Ho utilizzato questo fondo su di te perché non hai discromie sul viso e quindi volevo lasciarlo limpido senza andare ad alterarne il colore o renderlo troppo pesante ma solo per uniformare.

Ho utilizzato successivamente una cipria in polvere per opacizzare e fissare il fondo. Per quanto riguarda gli occhi ho voluto valorizzare i tuoi occhi a mandorla, aprirli di più rendendoli così ancora più grandi, non dimenticando però di Illuminare lo sguardo con i punti luce. Tanto tanto mascara, del blush rosa per risaltare gli zigomi e ovviamente sulle labbra rossetto rosso mat!”

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Nel negozio sono utilizzati (e venduti) solo ed esclusivamente prodotti professionali per garantire alla cliente massima efficacia e durata.

Sono senza parabeni nè profumi, quindi anche adatti a chi soffre di allergie cutanee.

La gamma di prezzo varia a seconda delle aziende. Sono prezzi in ogni caso modici.

Dai 6 € /13€/16€ per una matita occhi/labbra a finire ai 25€/ 28€/32€/35€ /40€ per il fondo.

Ci tengo a fare un grossissimo in bocca al lupo a questa ragazza speciale, mi auguro tu possa proseguire felice questo cammino anche se il momento potrebbe rivelarsi difficile, sei una ragazza forte e so che non demorderai!

Se volete visitare la pagina questo è il sito di Rosso Rossetto https://www.facebook.com/pages/Rosso-Rossetto/1563395700606359?

A presto, Letizia T.

Qualcuno da amare…

Tutti sentiamo il desiderio di essere amati, desideriamo essere apprezzati, toccati da quel brivido che riempia la nostra vita…

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Necessitiamo di qualcuno che ci rimbocchi le coperte

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Qualcuno che condivida i semplici piaceri della cucina con noi

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Qualcuno che ci stia accanto quando piove fuori, e dentro noi il sole si è spento

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Qualcuno che ci abbracci forte fino a frantumarci le costole

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Qualcuno che balli con noi anche se non è capace

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Qualcuno che ci abbracci forte e ci baci anche prima di affrontare la giornata

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Qualcuno che ci prepari una torta nel giorno del nostro compleanno

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Qualcuno che canti con noi canzoni stonate… piene di felicità!

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Vi auguro presto di trovare questo tipo di amore e di sentirvi completi e gratificati!

A presto,

Letizia T.

Photo: Art People Gallery (Facebook)

Un colloquio qualunque! Storie di ordinaria follia quando cerchi un impiego!

segretaria Dal mio primo libro “Manuale della mamma fai da te”

Di solito esco di casa che non bado neppure a quello che trovo nell’armadio, metto la prima cosa che capita, non mi è mai importato un granché di vestiti, anche se adoro i giornali di moda, ma per me la moda vera non è mai stata accessibile, ecco perché forse ne ho una sorta di rifiuto quasi paragonabile alla paura.

Ma oggi non è un giorno come gli altri, oggi potrebbe essere il giorno in cui la mia vita potrebbe cambiare, oppure il giorno in cui tutto potrebbe sembrarmi peggio di com’è. Questo è ciò che penso mentre mi infilo i collant, metto la matita per valorizzare il mio sguardo, metto anche il profumo che non metto mai, proprio quello lì, sì quello di quei due stilisti tanto per restare nell’argomento moda. Ci sono 15 gradi, quindi farebbe ancora freddo se non fosse che a Milano 15 gradi sono uguali a un caldo pazzesco, ma metto comunque il mio bel cappottino leggero, è la cosa più carina che possiedo.

Poi metto il rimmel (sono inseparabile dal rimmel, toglietemi tutto ma non il mio Rimmel), mi trucco anche le labbra (ma dove penserò mai di andare??) e mi infilo una gonna e un paio di decolleté; una collana di perle serve a coronare il tutto, il resto lo fa il pensiero che ho di me stessa, che in quest’oggi è una favola, sto bene per avere 30 anni, quasi 31 domenica, penso!

Poi mi reco al colloquio, non conosco il tragitto da percorrere, so solo che ho un’ora e credo che ce la farò, ce la farebbe anche un imbranato dentro Milano che è così ben servita dai mezzi.

Devo fare un bel tragitto per arrivare lì, ed ecco che il mio tacco 7 (dopotutto un tacco onesto) si imbatte nei marciapiedi milanesi che sono terribili e pieni di buche, tutti da fare obbligatoriamente in obliquo e dentro di me rido mentre il dito mignolo del piede batte contro la punta della scarpa che comincia a farmi male dato che non sono abituata ai maledetti tacchi (viva la comodità), inoltre Milano ha anche un altro grossissimo limite: quello dei numeri Civici. Quando li hanno creati si vede che hanno voluto risparmiare, perché a Milano oltre a mancare i numeri civici, gli unici che ci sono non sono in alcun modo collegati con l’ordine numerico del cervello umano.

Infatti imbocco la via che sono al 23, devo arrivare al 36, quindi già capisco che devo proseguire per logica… dopo il 35 secondo voi cosa mi viene automatico fare? Attraversare perché di fronte troverò il 36! Ehm…dicevo? Mi ritrovo davanti alla piscina, al numero 24! Ma com’è possibile scusate?

E già comincio a sclerare perché sono in ritardo, prendo nervosamente il telefono che ho spento per non essere disturbata durante il colloquio, quindi devo aspettare pazientemente che si accenda altrimenti il numero come faccio a formularlo?

Non ci crederete mai, ma sapete dove stava il 36 (e ho fatto tre chiamate rischiando pure di essere presa per deficiente dalla segretaria)? Dopo il 28!!!??!!!!! Mi chiedo ancora come sia possibile!

Detto ciò, arrivo sudata all’ingresso del portone, dove una sgarbata custode mi indica il piano.

L’ascensore arriva lentissimo, ed io mi sento scrutare da questa piccola donna, riflettendo sul fatto che non c’è niente di peggio che essere squadrati da testa a piedi da un’estranea.

Arrivo al piano dove una sorridente e pacioccona segretaria mi apre l’ingresso; l’ambiente è molto informale, moquette verdi come non se ne vedevano dal 1986, “a portata d’uomo” come ambiente, nel senso letterale del termine, dato che l’organico è composto da un massimo di quattro persone, compreso il grande capo.

Lui si aggira misterioso per l’ufficio, andando avanti e indietro e gridando al telefono a questo e a quello frasi astruse, riservandosi nel frattempo di fare anche giganteschi cazziatoni alle due segretarie.

Quella che mi ha accolto mi spiega che il colloquio durerà circa un’ora, la prima prova consiste in uno scritto da tradurre dall’italiano all’inglese in un tempo di circa 30 minuti, poi una domanda sul perché si voglia lavorare in uno studio che collabora con l’Estero (e lì mi stupisco dato il tempo imposto di 20 minuti per rispondere ad una semplicissima domanda nella tua lingua madre), e alcune spiegazioni su come si gestiscono i pagamenti del capo. Tutto per renderti noto che quest’uomo (e chiamalo scemo) possiede una incredibile fortuna immobiliare, 7 auto, 2 moto, 15 polizze su tutto, persino per l’angolo del ginocchio destro e l’ascella sfortunata, ed ha bisogno di un’altrettanto sfortunata segretaria che gli curi tutti i suoi desideri ed effetti e – permettetemi il gioco di parole – affetti personali.

Guarda a malapena il mio curriculum, poiché trascorre tutto il suo tempo tra una telefonata e l’altra.

Continuo a pensare nel mio intimo che è un pazzo…

Mi propone uno stage iniziale lungo da quattro a sei mesi (mi sembrava di essere tornata a quando avevo 18 anni), per poi inserirmi a tempo indeterminato nel suo organico.

Ora, io sul fatto che uno sia ricco non ho nulla da ridire, credo che solo gli invidiosi critichino i ricchi perché non sono anche loro nella stessa condizione, ma l’idea di lavorare con un pazzo che se gli sbagli a pagare la rata dell’affitto del suo immobile numero 125 e non ti assicuri che sia davvero dovuto ogni singolo importo, o che ti usi come scudo per litigare con le assicurazioni, non mi entusiasmava profondamente.

Mentre torno verso casa un po’ delusa, e salgo sul tram con i piedi che ormai non sento più, penso che per oggi preferisco il posto di lavoro dove sto, sono sanamente pazzi, ma fanno ormai parte della mia “mappa” e del mio quotidiano se non altro.

E domani torno in ufficio con una nuova consapevolezza, sono una persona che vale, una mamma tosta, accidenti ma cos’altro potrei desiderare?

Mi manca solo il bacino delle mie piccole, che sono già a letto e che stasera non ho potuto salutare.

Salgo in silenzio le scale.

Entro nella loro camera, glielo darò mentre dormono, è ancora meglio.

 

A presto,

Letizia T.

I bambini sanno qualcosa che gli adulti hanno dimenticato! I sei anni di mia figlia Gaia…

GAIA 6 ANNI

Sei anni fa nel totale silenzio di una sala parto Milanese nasceva mia figlia.

Ho sottolineato nel silenzio perché ero stata molto attenta a non urlare per evitare di spaventarla. Fu il mio personalissimo modo di dirle: “Benvenuta al mondo”!

Rumori a parte, quella dell’esperienza genitoriale è qualcosa che nessuno ti insegna, né un libro, né tutti i consigli che genitori, nonni e zii potranno impartirti.

E quello che ho compreso è che il tempo vola quando sei insieme a tuo figlio, non invecchi, ma hai la preziosa opportunità di crescere.

Crescere con loro ti insegna quanto diventi stupido da adulto, pieno del tuo orgoglio, pieno di te, pieno dei tuoi pensieri e delle tue distrazioni. Comprendi che non ti riservi mai davvero il reale diritto di amare, di ricevere un abbraccio senza remore.

Quando mia figlia dice di volermi bene, io sono certa che lo dica cosciente che è ciò che sente.

Da adulti non sempre baciamo con sincerità la pelle rugosa degli anziani, mentre il bambino abbraccia i suoi nonni e chiunque incontri senza pensare ai futili dettagli che lo possano distrarre dal semplice, reale, affettuoso gesto fine a se stesso.

Da adulti cominciamo ad odiare la routine che per i bambini invece rappresenta la loro sicurezza, il loro benessere. Quei rituali tanto irrilevanti per noi sono invece segno per il bambino che “NOI CI SIAMO”.

Ogni mattina mia figlia ci salutava dalla finestra della sua classe fino a che non ci vedeva scomparire fuori dal cancello.

Devo ammettere che questa mattina quando mi ha detto: “Mamma non è più necessario che ti saluto dalla finestra” è stato per me come ricevere un pugno in pieno stomaco.

E’ cresciuta ora, non ha più bisogno di quel rituale.

Tuttavia sono consapevole che se ne aggiungeranno altri, ma questo, il primo e il più importante, a mia figlia non serve più.

Ho imparato tanto e ogni giorno imparo da lei, mi arricchisce, mi fa stare bene e mi fa amare il mondo del quale mi sono contornata.

Mi sono sempre chiesta che genere di madre io sia. Sono una donna che lavora, moglie che gestisce una casa, i social, il canale di ricette, ora anche un blog cercando di dimenarmi in tutte queste attività la cui conciliazione richiede non poca fatica il più delle volte.

Mia figlia ogni tanto mi guarda e mi dice: “Vieni mamma, ti vedo stanca, ti faccio un massaggio, mettiti giù”… è quello il momento migliore della giornata, quando posso ricevere le sue coccole sincere.

Sono una donna fortunata ad avere tanto, tanto amore e vorrei che ogni genitore capisse che non esiste valore maggiore di un figlio, che tutto ciò che prima avevamo ha finalmente trovato la sua giusta collocazione e che l’orgoglio con un figlio è superfluo perché è lui la persona che ci farà crescere, non invecchiare.

Oggi ci tengo a dirti Auguri GAIA, e grazie per aver portato nella mia vita il raggio di sole più grande fra tutti, un giorno mi auguro che leggendo questo articolo capirai quanto ti amo e quanto ti amerò sempre, bambina mia.

Letizia T.

Il labirinto di orchidee – le porte del cuore

vcollage7 Durante un’esistenza fatta soprattutto di riflessioni, ho avuto modo di conoscere persone eccezionali, dotate di un carattere e di un’umanità eccellenti.

Persone di una cultura e di uno spessore emotivo aldilà di ogni immaginazione.

Ho riscontrato anche la crudeltà umana constatando come l’uomo possa arrivare a toccare il fondo facendo del male ad altri pur di condiscendere alla propria insoddisfazione.

Ed ora ero nella fase di valutazione, quella in cui si tirano le somme.

Sono cresciuta in un contesto austero, con una madre borghese, dannatamente ancorata al suo ricco passato, che ho visto autodistruggersi persa nella chirurgia plastica e nell’alcool. Non sapevo mai quando era il giorno in cui stavo comunicando con mia madre e quando con la signora del rhum.

Mio padre era greco. Sebbene un uomo di cultura e uno scrittore affermato, non aveva mai avuto la cosiddetta vena di padre, trascorreva molto tempo a scrivere.

Esprimeva concetti buttati dapprima su un foglio, poi lo appallottolava e imprecava contro il cestino della carta dove era diretta la pallina di idee.

In cerca di ulteriore ispirazione, guardava fuori dalla finestra il nostro labirinto…

“Il labirinto di orchidee” di Letizia T.

I rapporti forti come una casa…

home

Era lui il filosofo di casa, il poeta greco da cui mio padre aveva ereditato la passione per la lettura e la prosa.

Di lui manterrò sempre ricordi piacevoli molto più che con i miei genitori. A dire il vero manterrò gli unici ricordi che possiedo solo grazie a quell’uomo e ai suoi precetti.

Un amore forte il nostro, fatto di sguardi che erano sufficienti a comunicare. Non servono parole quando è il bene sincero a sostenerci.

Il nostro rapporto era iniziato lentamente come la costruzione di una casa che per molto tempo era rimasta priva di finestre.

Provate a immaginare un piccolo mattone. Lentamente aggiungete gli altri fino a formare una casa.

Ora pensate alla casa completamente eretta ma senza ancora le finestre.

Pensatela anche in un giorno di freddo e vento.

L’aria passerebbe in ogni pertugio, ogni apertura, creando così una forte corrente.

Ecco cosa succede a quel tipo di rapporti. Hanno la solidità di una casa ma allo stesso tempo non possiedono il calore di un focolare perché permettono all’aria fredda di penetrare.

E’ una casa a metà, dove non ci si sente sicuri.

Avrà bisogno di finestre prima o poi per essere vissuta.

Finestre che permettano di godere di quello che c’è fuori pur restando dentro, al sicuro.

A presto,

Letizia T.

ROMA MIA…

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Lo vedi Charlie Chaplin al semaforo?

No. Perchè da tempo non ti concedi di vedere più intorno a te cosa il mondo ti riservi.

Sei assuefatto dagli odori della spazzatura sotto casa, dal degrado dei marciapiedi, dagli sguardi spenti che incroci.

Non ti sei neppure accorto che il platano del giorno in cui sei nato, che era lì da 20 anni davanti al tuo portone, oggi non esiste più.

Non te ne sei accorto perchè a te piace stare qui, nella Città Eterna, in mezzo all’olezzo, osservando quel degrado che sembra non appartenerti.

Una volta, quando possedevi occhi per vedere, ti arrabbiavi forte con lo Stato.

Pure tuo nonno lo faceva, ma poi in vecchiaia smise perchè rassegnato.

Oggi esci da quel portone e la tua Città non la riconosci più, niente è più uguale.

Di tutti i negozi che c’erano na vorta c’è rimasto solo Mimmo “er fioraio”.

Mimmo ama tanto le sue piante, le nutre e le accudisce senza badare a chi gli sta intorno.

E tu lo invidi perché sta nel suo mondo Mimmo, che ha reso fiorito pe’ nun vedè quanto è cambiata ROMA SUA….

Letizia T.

Image: Roma.

Piazza Navona…

plaza navona

Da vent’anni Gino dorme sul sagrato di questa chiesa e ancora qualcuno passando gli lancia un’occhiataccia quasi disturbato dalla sua presenza.

Nella piazza un gran viavai di gente.

Chi è qui da sempre, chi per un giorno, chi un giorno se ne andrà.

La vergine si erge fiera dalla fontana posta al centro della piazza.

Persino il piccione vuol mangiar dalla sua testa.

“Lasciami stare! – sembra ella volergli dire – che di eternità voglio campare!”

Intanto in Piazza Navona l’artista cerca sconsolato l’approvazione di un pubblico acquirente.

Di improvviso un boato si ode dal cielo, è un tuono che pretende di squarciarlo.

L’artista con occhi imprecanti nasconde i suoi tesori perchè non si bagnino.

Solo un quadro rimane fermo, come nel dimenticatoio: quello di una fanciulla munita di ombrello.

La vergine statuaria sembra rivolgerle lo sguardo.

Entrambe vivranno in eterno.

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Letizia T.

Photos: Piazza Navona, 9 giugno 2015