Dal mio primo libro “Manuale della mamma fai da te”
Di solito esco di casa che non bado neppure a quello che trovo nell’armadio, metto la prima cosa che capita, non mi è mai importato un granché di vestiti, anche se adoro i giornali di moda, ma per me la moda vera non è mai stata accessibile, ecco perché forse ne ho una sorta di rifiuto quasi paragonabile alla paura.
Ma oggi non è un giorno come gli altri, oggi potrebbe essere il giorno in cui la mia vita potrebbe cambiare, oppure il giorno in cui tutto potrebbe sembrarmi peggio di com’è. Questo è ciò che penso mentre mi infilo i collant, metto la matita per valorizzare il mio sguardo, metto anche il profumo che non metto mai, proprio quello lì, sì quello di quei due stilisti tanto per restare nell’argomento moda. Ci sono 15 gradi, quindi farebbe ancora freddo se non fosse che a Milano 15 gradi sono uguali a un caldo pazzesco, ma metto comunque il mio bel cappottino leggero, è la cosa più carina che possiedo.
Poi metto il rimmel (sono inseparabile dal rimmel, toglietemi tutto ma non il mio Rimmel), mi trucco anche le labbra (ma dove penserò mai di andare??) e mi infilo una gonna e un paio di decolleté; una collana di perle serve a coronare il tutto, il resto lo fa il pensiero che ho di me stessa, che in quest’oggi è una favola, sto bene per avere 30 anni, quasi 31 domenica, penso!
Poi mi reco al colloquio, non conosco il tragitto da percorrere, so solo che ho un’ora e credo che ce la farò, ce la farebbe anche un imbranato dentro Milano che è così ben servita dai mezzi.
Devo fare un bel tragitto per arrivare lì, ed ecco che il mio tacco 7 (dopotutto un tacco onesto) si imbatte nei marciapiedi milanesi che sono terribili e pieni di buche, tutti da fare obbligatoriamente in obliquo e dentro di me rido mentre il dito mignolo del piede batte contro la punta della scarpa che comincia a farmi male dato che non sono abituata ai maledetti tacchi (viva la comodità), inoltre Milano ha anche un altro grossissimo limite: quello dei numeri Civici. Quando li hanno creati si vede che hanno voluto risparmiare, perché a Milano oltre a mancare i numeri civici, gli unici che ci sono non sono in alcun modo collegati con l’ordine numerico del cervello umano.
Infatti imbocco la via che sono al 23, devo arrivare al 36, quindi già capisco che devo proseguire per logica… dopo il 35 secondo voi cosa mi viene automatico fare? Attraversare perché di fronte troverò il 36! Ehm…dicevo? Mi ritrovo davanti alla piscina, al numero 24! Ma com’è possibile scusate?
E già comincio a sclerare perché sono in ritardo, prendo nervosamente il telefono che ho spento per non essere disturbata durante il colloquio, quindi devo aspettare pazientemente che si accenda altrimenti il numero come faccio a formularlo?
Non ci crederete mai, ma sapete dove stava il 36 (e ho fatto tre chiamate rischiando pure di essere presa per deficiente dalla segretaria)? Dopo il 28!!!??!!!!! Mi chiedo ancora come sia possibile!
Detto ciò, arrivo sudata all’ingresso del portone, dove una sgarbata custode mi indica il piano.
L’ascensore arriva lentissimo, ed io mi sento scrutare da questa piccola donna, riflettendo sul fatto che non c’è niente di peggio che essere squadrati da testa a piedi da un’estranea.
Arrivo al piano dove una sorridente e pacioccona segretaria mi apre l’ingresso; l’ambiente è molto informale, moquette verdi come non se ne vedevano dal 1986, “a portata d’uomo” come ambiente, nel senso letterale del termine, dato che l’organico è composto da un massimo di quattro persone, compreso il grande capo.
Lui si aggira misterioso per l’ufficio, andando avanti e indietro e gridando al telefono a questo e a quello frasi astruse, riservandosi nel frattempo di fare anche giganteschi cazziatoni alle due segretarie.
Quella che mi ha accolto mi spiega che il colloquio durerà circa un’ora, la prima prova consiste in uno scritto da tradurre dall’italiano all’inglese in un tempo di circa 30 minuti, poi una domanda sul perché si voglia lavorare in uno studio che collabora con l’Estero (e lì mi stupisco dato il tempo imposto di 20 minuti per rispondere ad una semplicissima domanda nella tua lingua madre), e alcune spiegazioni su come si gestiscono i pagamenti del capo. Tutto per renderti noto che quest’uomo (e chiamalo scemo) possiede una incredibile fortuna immobiliare, 7 auto, 2 moto, 15 polizze su tutto, persino per l’angolo del ginocchio destro e l’ascella sfortunata, ed ha bisogno di un’altrettanto sfortunata segretaria che gli curi tutti i suoi desideri ed effetti e – permettetemi il gioco di parole – affetti personali.
Guarda a malapena il mio curriculum, poiché trascorre tutto il suo tempo tra una telefonata e l’altra.
Continuo a pensare nel mio intimo che è un pazzo…
Mi propone uno stage iniziale lungo da quattro a sei mesi (mi sembrava di essere tornata a quando avevo 18 anni), per poi inserirmi a tempo indeterminato nel suo organico.
Ora, io sul fatto che uno sia ricco non ho nulla da ridire, credo che solo gli invidiosi critichino i ricchi perché non sono anche loro nella stessa condizione, ma l’idea di lavorare con un pazzo che se gli sbagli a pagare la rata dell’affitto del suo immobile numero 125 e non ti assicuri che sia davvero dovuto ogni singolo importo, o che ti usi come scudo per litigare con le assicurazioni, non mi entusiasmava profondamente.
Mentre torno verso casa un po’ delusa, e salgo sul tram con i piedi che ormai non sento più, penso che per oggi preferisco il posto di lavoro dove sto, sono sanamente pazzi, ma fanno ormai parte della mia “mappa” e del mio quotidiano se non altro.
E domani torno in ufficio con una nuova consapevolezza, sono una persona che vale, una mamma tosta, accidenti ma cos’altro potrei desiderare?
Mi manca solo il bacino delle mie piccole, che sono già a letto e che stasera non ho potuto salutare.
Salgo in silenzio le scale.
Entro nella loro camera, glielo darò mentre dormono, è ancora meglio.
A presto,
Letizia T.