Grazie per ciò che è stato.

È stato piuttosto triste, perché negarlo. Si diventa tristi anche quando si perdono piccole cose a cui davi valore; e non è necessario che fossero grandi di dimensioni, poiché erano grandi nel cuore.

Nove anni passati al nostro fianco, ti abbiamo accudito e amato oltremodo e sei diventato il quinto elemento della famiglia. Nove anni in cui tutti gli amici sorpresi si chiedevano come fosse possibile possedere un pesce rosso così longevo!

Sono stati tanti i momenti felici, che nel momento in cui sei morto, anziché piangere ho voluto (e ho dovuto) ringraziarti per quel che era stato.

Grazie per aver reso le nostre vite felici e piene, sei stato fortunato perché sei stato molto amato.

È questo che ho detto alle bambine quando sono scoppiate in un pianto inconsolabile.

Della morte non dovremmo piangere ma ringraziare con fiducia, con fede, e sapere che una vita ha senso se è stata sì ricolma d’amore.

Il tuo posto è vuoto ora, nell’aria la brezza estiva e in sottofondo il profumo di un sugo di pomodoro.

Guardo la boccia, ma non è più ricolma d’acqua. Vorrei si smaterializzasse da sola. Vorrei sparisse dalla mia vista.

Resto seduta qui, davanti a un computer a elaborare internamente quanto mi sta succedendo.

Sempre io a chiedermi come mai te ne sei andato proprio ora che mi sento più fragile, in un momento in cui un tuono è giunto a squarciare il mio cielo.

Non trovo, e non voglio forse, sapere se c’è una spiegazione. Ripeto a me stessa che devo essere sempre più forte, che non devo mollare, che devo ringraziare il vento che ora scuote leggermente i fili d’erba del mio giardino, che devo gioire per la mia vita ancora presente, anche quando sento che vorrei abbandonarla.

Grazie di tutto Nino. Grazie.

Leti.

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