Mentre nella mia mente aleggiano i più disparati seppure rilassati pensieri, vedo un’ombra passare velocemente dal bagno alla camera degli ospiti. Tre brevissimi secondi in cui tutto ciò che riesco a scorgere è una figura alta dai capelli neri, a torso nudo e con un asciugamano legato intorno alla vita.
Intuisco si possa trattare di un ragazzo. Prima di porre domande a Oriana, ragiono sul fatto che dato che ho dormito poco potrei aver visto qualcosa che non c’è. Ho paura di stare impazzendo, vedo figure in casa che non ci sono, ma che diavolo mi prende?
Lei sembra intuire i miei dubbi. “E’ il figlio di mio figlio.”
La guardo imbarazzata mentre realizzo che quel fantasma era semi nudo e che io l’ho guardato, seppure per tre brevissimi secondi.
“Di chi stai parlando?” le pongo la domanda sperando di evadere da quel senso di vergogna che assurdamente sento insinuarsi nel mio inconscio.
“Parlo del ragazzo che è appena passato. Dove diavolo è andato a finire?” vaga per la cucina in cerca dell’accendino.
“Quante volte ti avrò detto che la devi smettere di fumare? E’ un vizio tremendo!”
“Detto da una fumatrice suona un po’ contraddittorio non credi? E comunque anche quello di voler ancora vivere alla mia età è un vizio, eppure non ho intenzione di smettere. Le vedi queste – dice indicando il pacchetto di Merit – queste verranno nell’aldilà con me, non dimenticarti di fare in modo che le mettano nella mia bara!” mi rimprovera, sperando che io resti in silenzio. Le serve come attenuante per continuare a somministrarsi il veleno.
Sorrido mentre i rumori proseguono nella camera del giovane nipote.
Quando mi affaccio per presentarmi è già troppo tardi. Sento la porta di casa sbattere.
Il giovane sconosciuto è uscito, senza neppure salutare. E’ stato maleducato, ma tengo per me questa considerazione, non voglio offendere Oriana.
“Non badarci, è un ragazzo strano. Da quando è arrivato non parla poi molto. Mio figlio si sta separando dalla moglie e lui non deve averla presa molto bene. Sta in camera chiuso praticamente tutto il giorno, e non ne esce neppure per mangiare. Sarà colpa del mio stufato, dice che non gli piace. E poi non legge, e questo è un gran male…” il suo volto delicato assume un’espressione rammaricata.
“Neppure io leggo, Oriana.”
“Sì, ma tu non sei un adolescente che ascolta musica metal!”
Getto uno sguardo al comò della camera, dove ci sono gli effetti personali del ragazzo quasi impaurita che da un istante all’altro possa rientrare, trovandomi intenta a ficcanasare nelle sue cose.
Mi sento infatti come quando spolvero gli oggetti personali dei miei figli nelle loro camere. Sento che è come se violassi in qualche modo la loro intimità.
Perciò con la stessa delicatezza mi avvicino agli oggetti del misterioso adolescente, sperando di ritrovarvi un’emozione che mi appartenga come madre, e che ho perso da quando i miei figli sono cresciuti.
C’è un orologio Swatch da polso, uno di quelli con il cinturino in plastica morbida, e dieci euro incastrati sotto un enorme fermacarte in vetro di murano. La mia attenzione si posa su una Bic di colore blu scuro, la cui parte superiore del tappo è stata rosicchiata.
Rivedo in quei segmenti un rituale che da bambina a scuola praticavo spesso, succhiando e mordicchiando il tubicino lungo e trasparente, fino a quando la parte finale mi finiva dritta in bocca, pronta per essere masticata come fosse una caramella, ed essere infine ridotta in poltiglia.
Proseguendo con l’ispezione intravedo anche una pila di cd dei Beatles, di Coltrane e di Miles Davis. Tutt’altro che musica metal. Mi interrogo sul perché Oriana sia arrivata a considerare i Beatles musica metal. Poi un paio di libri, “Persuasion” di Jane Austen e “La vita intera ti ho dato” di Valdés. E’ dunque un adolescente che legge.
“Come hai detto che si chiama?” chiedo curiosa di sapere qualcosa di più sul ragazzo, mentre fisso il suo letto disfatto.
“Axel.”
Il silenzio cala improvvisamente nella stanza. Il ragazzo ha un nome curioso, insolito, quanto le sue camicie riversate sulla testata del letto completamente nere, senza neppure una scritta.
“Che razza di nome è?” la mia curiosità termina sull’anta mezza aperta dell’armadio. Ci sono un paio di jeans strappati e malconci, anche quelli neri. Ci sono anche una cintura usurata e una giacca a vento.
“E’ un nome svedese. Mia nuora, la mia ex nuora, è svedese.”
Guardo Oriana di sbieco, desiderosa di sbirciare ancora nella camera del nuovo arrivato.
Axel.
Nome insolito, ragazzo insolito. Gusti sull’abbigliamento, altrettanto insoliti.
Letizia Turrà, Il mio cielo è grigio porpora
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