FILOFOBIA: La paura di amare troppo….

filofobia

 

Oggi ho imparato una parola bellissima, dal suono orribile ma dal significato sublime.

Mi è servita a capire che è questa l’esatta definizione della mia “malattia”. Io soffro di Philofobia.

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La FILOFOBIA è la paura persistente di innamorarsi o di amare una persona.

Ciascuno di voi potrà riconoscersi in questa definizione dal nome così bislacco, ma dal significato assolutamente fuori dallo schema delle comuni fobie.

Sì, perché quella che viene definita FOBIA non è che la nostra innata capacità di preservare il cuore da probabili sofferenze che non vedrebbero il loro sfogo, senza l’associazione con un sentimento ben più conosciuto: la “Paura”.

Noi abbiamo paura, siamo intinti nella paura, siamo esasperati dalla paura, siamo ricchi di paure, siamo attanagliati dalle paure, religiosamente afflitti anche, dalle paure.

Se solo fossimo coscienti che la paura NON esiste, che è un sentimento artificioso, creato dall’uomo ma inesistente in natura, la nostra vita cambierebbe drasticamente.

Ci sarebbe una nuova partita da giocare, nuove carte da esibire; nuovi assi nella manica da tirare fuori!

Saremmo dei vincenti, capite?!?

Quando ho letto la definizione di filofobia mi è salito un nodo in gola che si è snodato lungo il petto, arrivando a raggiungere lo stomaco.

Come una matassa che si sbroglia e che dal basso giunge verso l’alto, è poi risalito alla bocca, l’unico strumento in grado di far sì che quello che ho provato diventasse parola.

Ho così compreso che quella paura sarebbe meglio tradurla in “sofferenza”.

In realtà per un artista la sofferenza è tutto, è un angolo di piacere del quale si nutre più o meno volontariamente, per riuscire a costruire in seguito la sua opera.

Noi siamo amanti del supplizio, spinti da quel mero scopo procreatore (o procreativo), perché siamo talmente consapevoli che l’amore possa portare sofferenza, da stabilire già a priori che quello stesso sentimento ci procurerà infine un dolore necessario.

Sarebbe un dramma per me non vedere più gocciolare sangue dai fogli dei libri che scrivo.

Sento la necessità di quelle ferite, di quel pathos. Mi serve per produrre altro amore, da donare agli altri e soffrire per esso, per la sua effettiva mancanza di concretezza.

Così ogni volta che scrivo mi innamoro di ogni personaggio, e quando infine la storia si conclude, smetto di sanguinare per breve tempo.

Poi la mia sete ricomincia, la mia dipendenza diventa sempre più forte e dovrò lavorare per trovare altre storie che attendono solo di essere scovate, perché io sono la voce di quel grido inascoltato.

Se trasformassimo la paura in passione, quanto cambierebbe la nostra visione della vita?

C’è bellezza nel dolore, c’è bellezza nell’amore, quello che strappa lo stomaco, quello che ramifica forte come un’edera, arrivando dritto a toccare il cielo con la sua tenacia, imperdonabilmente inestirpabile.

Sono dunque fobica, posso dire di avere una malattia? Ebbene sì, io ho la consapevolezza di amare con dolore, di amare troppo, di essere amata oltre la portata massima, di essere amata oltre quello che merito, di dipendere da un amore che mi abbandonerà.

Ma è questo che mi tiene viva, che mi fa respirare, e mi permette di entrare in sintonia con il mondo.

Sono grata alle mie angosce, grata alle mie passioni, grata per le pagine che dovrò ancora scrivere.

Sarei niente senza il mio dolore.

Penso che queste parole di Marina Abramović rendano efficacemente merito a quanto vi sto dicendo:

«Penso che nessuno faccia niente dalla felicità. La felicità è uno stato così buono, non ha bisogno di essere creativo. Non sei creativo dalla felicità, sei solo felice. Sei creativo quando sei triste e depresso».

Questo è il momento giusto per te che mi stai leggendo.

Se soffri di philofobia, usa il tuo tempo per creare e per riscrivere la tua storia; per giocare la tua partita un’altra volta, per sorridere…perché tu non sei le tue paure, tu sei solo colui o colei che teme di essere amato, e di amare troppo.

A presto, Letizia T.

Image: Web (Filofobia)