Un libro intenso, particolarmente delicato e nostalgico, con una copertina bellissima ed eloquente.
Potrei definire così “Il mare d’inverno”, il romanzo di Salvatore Carvelli, nato a Milano, geometra, la cui passione per le materia umanistiche lo ha spinto verso il territorio della narrativa.
Sì, perché scrivere di narrativa e soprattutto di temi legati ai sentimenti, non è cosa semplice.
Un conto poi, è parlarne. Ben altro, scriverne.
Questo libro mi ha fatto fare un vorticoso salto a quella che è stata la mia infanzia.
La crisi economica ha lasciato Giorgio, padre di Simone e Paolo, a casa senza un lavoro, e privo di una decente occupazione in sostituzione della precedente che consenta a lui e alla sua famiglia di vivere dignitosamente.
Giorgio è un uomo introverso, il quale al termine del periodo in cui si trova in cassa integrazione, tramuta la sua sofferenza in dipendenza dalla bottiglia, arrivando a diventare il mostro violento, fisicamente e moralmente, della propria famiglia.
Non c’è accudimento, né interesse da parte di ogni membro del nucleo, nei confronti dell’altro.
I protagonisti sono Paolo e Simone: due fratelli, che non contano l’uno sull’altro come solitamente dovrebbe avvenire tra consanguinei. Piuttosto, le loro giornate sono corollate da sterili discussioni e dispettucci che continuamente Simone infligge al piccolo, come quello di nascondere il suo quaderno nel giorno della verifica, sapendo perfettamente che Paolo è uno studente modello e quella mancanza sarà oggetto di scherno da parte dei compagni per suo fratello.
Simone è spinto da una gelosia che lo rende cieco e abietto, quasi incosciente e distaccato da ciò che accade nella sua famiglia.
Paolo ha una malattia ereditaria per la quale ha una ridotta aspettativa di vita e tutte le attenzioni sembrano essere poste su di lui.
Inoltre la violenza verbale e fisica di Giorgio non rende facili le cose neppure per mamma Valentina, sempre amorevole e disponibile con i suoi figli e unica fonte di guadagno per l’intera famiglia. La donna infatti lavora facendo le pulizie pochi giorni alla settimana presso la casa della dottoressa Franceschini.
Da alcuni mesi Simone ha un dolore persistente al petto. Si pensa a una broncopolmonite, è uno sportivo, avrà preso freddo.
Non si pensa a un problema fino al momento in cui dalla bocca del ragazzo inizia a defluire sangue, anche abbondante, dopo ripetuti colpi di tosse.
Simone non dice nulla a sua madre, ma quando la perdita ematica risulta più grave del previsto e Valentina viene a conoscenza del problema, decide di farlo subito visitare.
E qui il fiato rimane sospeso per un attimo. Perchè la realtà quotidiana di una normale famiglia che vive tra alti e bassi (molti più bassi in verità) viene di colpo stravolta lasciandoci spiazzati.
Gli esami parlano chiaro: Simone ha un tumore al polmone.
Inenarrabile la tristezza e il dolore di mamma Valentina, ormai cosciente che entrambi i suoi figli moriranno.
Di improvviso Paolo non è più il solo ad avere dei problemi. Improvvisamente a Simone rimangono poche settimane di vita.
Come è possibile accettare una verità tanto turpe?
Così l’autore ci viene in aiuto, e ci incita ad uscire dal labirinto emotivo dentro il quale ci siamo ficcati con tutta la nostra volontà, pur di nasconderci da un dolore simile, perché giunti a quello stadio ci siamo affezionati a Simone e Paolo.
Come diavolo faremo ad accettare che quella sia l’unica fine plausibile?
<<Paolo, è solo quando comprendi che il tempo sta per finire davvero, soltanto allora ti accorgi di quante cose avresti voluto fare con i tuoi figli, di quante cose avresti potuto e voluto dirgli. Ma non lo hai fatto. Noi a Simone abbiamo sempre voluto bene tanto quanto a te, ma spesso siamo stati così sommersi nei nostri dolori, nel nostro egoismo… E forse non ci siamo mai accorti di quanto siamo stati assenti per lui.>> confessa Valentina ormai soffocata dal dolore, al figlioletto Paolo.
“Si rese conto davvero di come un tempo che per i genitori, e viceversa, pare sempre infinito, possa diventare d’un tratto esiguo.”
Quanto tempo perso a lavorare, a lottare contro un marito violento che ha riempito ogni solco sul suo viso di lacrime per via della sua dannata incomprensione di avere un dono nella sua vita, una famiglia amorevole su cui poter contare.
Giorgio, ormai consapevole della sorte del figlio, prova a ricompiere quei passi affettivi con Simone, tentando di recuperare i suoi sbagli, ma il ragazzo è irremovibile. Troppa è la delusione che quell’uomo gli ha recato.
Fatica anche a comunicare con Paolo, che ha visto sempre come un avversario, e non come un alleato.
Non rimane che desiderare ancora qualcosa per il loro futuro.
Paolo confessa a Simone di avere un desiderio: vorrebbe diplomarsi, e prendere la patente per guidare una Ferrari.
Simone sorride al solo pensiero, sapendo di avere poche possibilità di pensare ad un futuro lontano.
<<Io vorrei andare al mare, sì, prima di morire vorrei vedere il mare.>> dice sicuro.
La decisione mette in crisi i genitori per via della situazione economica che impone loro di preoccuparsi di ogni spesa superflua.
I nonni si offrono non solo di accompagnarli, ma di finanziare l’intero viaggio della famiglia, che sarà ospite della zia Chiara a Pesaro, la quale ha una casa proprio di fronte al mare.
Simone e Paolo incontrano un sole pallido di febbraio che scalda i loro cuori e i loro “animi acerbi”, così come li definisce l’autore.
Lascio a voi la fine del romanzo, senza anticiparvi nulla, perché le mie emozioni sono ancora molto forti e devo metabolizzare, come faccio sempre, le forti sensazioni provate leggendo questo libro che riesce a condensare una storia intensissima con le sue sole 113 pagine.
Unica pecca: ci sono alcune parole non corrette (i refusi sono assolutamente normali in ogni libro), che tuttavia non distolgono nel modo più assoluto dalla bellezza della storia stessa.
Sono felice di aver letto questo libro, che termina lasciando un messaggio importante: nonostante le avversità che si possono creare in una famiglia, l’amore fraterno è senza dubbio fondamentale nella vita di una persona.
Su un fratello sai che potrai sempre contare. Lui ti porterà a conoscere il tuo lato peggiore quando si tratterà di condividere l’affetto dei genitori, ti guiderà verso un percorso di crescita perché magari più grande di te, ti illuderà che non esista limite ai sogni che insieme potrete realizzare, ti lascerà andare quando litigate per poi ritornare a chiedere scusa, e ti accompagnerà davanti al mare, fosse anche l’ultimo dei desideri che esprimerai.
La vita va apprezzata, è questa la verità. Lei non ti avverte delle tragedie imminenti, né si cura del fatto che tu abbia solo sedici anni e non sei pronto a morire.
Ecco perché non dobbiamo dare per scontato MAI l’enorme valore della famiglia e dei figli nella nostra esistenza.
Mi è scesa una lacrima leggendo questa frase di Erma Bombeck:
“La famiglia. Eravamo uno strano piccolo gruppo di personaggi che si facevano strada nella vita condividendo malattie e dentifrici, bramando gli uni i dolci degli altri, nascondendo gli shampoo e i bagnoschiuma, prestandoci denaro, mandandoci a vicenda fuori delle nostre camere, infliggendoci dolore e baci nello stesso istante, amando, ridendo, difendendoci e cercando di capire il filo comune che ci legava.”
E’ così che anche io la vedo, ed è qui che voglio restare.
Grazie Salvatore, ti abbraccio tanto.
Letizia T.