Odette

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Nei giorni che precedettero la morte di Odette, le nuvole fluttuarono nel cielo come batuffoli di ovatta.

Quel che riesco chiaramente a ricordare è che smisi improvvisamente di sentire l’odore della morte e anche mia madre divenne priva di odori.

Niente più ricordava la sua figura di megattera. Era ora appassita, sbiadita, come una foto sovraesposta dai contorni bianchi e bruciati.

Una gracile farfalla che non volava più, ma tornava alla sua natura legata agli abissi più profondi, che per tutta la vita l’avevano attesa.

Jonas pianse tanto come non l’avevo mai visto fare.

Mi stupì vedere quanto un uomo può soffrire quando deve separarsi da ciò che ama.

Noi non accettiamo di perdere, mai. Sviluppiamo un senso di appartenenza con i nostri affetti più stretti, che ci inducono a pensare che non finirà mai il ciclo di quel sentimento.

Ed invece anche una donna grande come la mamma se n’era andata ed insieme a lei la sua energia più profonda.

Dopo poche settimane io e mio fratello completammo la casa sull’albero, senza dirci nulla. Non una parola sull’accaduto, e non certo perché non avessimo argomenti. Solo che qualsiasi dialogo avrebbe rovinato quella costruzione che era diventata più l’edificazione del nostro rapporto, che un ammasso di legni posti di fronte a un fiume su un albero secolare.

Preferimmo lo stesso silenzio con il quale avevamo scelto quell’albero, silenziosamente, fra tanti. O forse fu lui a scegliere noi, proprio come il destino sceglie di darti una madre che poi ti strapperà dalle mani troppo presto.

Non eravamo pronti a restare da soli; forse in fondo nessuno lo è mai per davvero.

 

Letizia Turrà, 2019

Ph: Natalia Drepina