33esimo giorno

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33esimo giorno di quarantena.
Nessun riassunto.
Nessun panico.
Qualche rottura di palle, ma ci sta.
Un sacco di piatti nuovi che ho imparato a preparare.
Sempre meno tolleranza verso chi vuole tornare alla vita di prima fingendo che non esista un’emergenza sanitaria.
Tanti baci in più dati alle mie figlie.
Tanto vento, e poco sole qui in Lombardia.
Tanta voglia di condividere bellezza, senza scalpitare troppo.
Tanti film di Woody Allen.
Caffè a letto.
Baci sul divano, come non ci fosse un domani.
Pochi libri, perché adesso non mi va.
Poca voglia di scrivere per far vedere quanto sono brava e produttiva.
Tanto bisogno di silenzio, e meditazione.
Tanto, troppo, poco, molto, moltissimo, sempre, mai.
Finalmente rivivo il sapore di certe parole che non dimenticherò.
❤️

#Pomeriggi di quarantena.

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E così scorrono dei pomeriggi senza sole, privi di ogni rumore nefasto.
Impietosamente il silenzio lascia spazio alle parole.
Le orecchie, prima sorde, tornano a sentire; gli occhi a vedere; la pelle a respirare.
È quasi la fine di un mese, lungo e allo stesso tempo veloce.
È metà del tragitto che finora hai percorso e nel mentre, molte delle tue abitudini e dei tuoi modi avranno trovato una modifica, quasi radicale.
Sorridi ma lo sai…che non sei più la stessa persona che eri ieri, e la cosa non ti fa arrabbiare. Il saperlo non rende l’incertezza più incerta né ti procura acuta sofferenza.
È il cambiamento che forse ti era necessario. Rappresenta il tempo che ti serviva, il bacio che ti mancava, l’ingrediente segreto che a lungo hai bramato.
È lo spazio a contatto con la parte intima di te.
L’unica, che possa renderti più felice.

Letizia Turrà

Il tempo ai tempi del Corona Virus

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Sveglia alle 7.47.

Difficile schiodarmi dal letto, ultimamente i miei ritmi sono sballati. Vado a letto alle 2 di notte, dopo aver sentito notizie per nulla tranquillizzanti.

Qui nella zona rossa la paura è tanta da oltre un mese. Da circa quattro giorni non usciamo dall’ultima volta perché le uscite sono contingentate. “Un membro per famiglia”, dicono, così ci siamo dovuti tutti uniformare. Un nuovo assetto: segni bene su un foglio quello che manca in casa, nessun lusso (dimenticati le patatine, il succo di arancia Bio, le cazzatelle che ti compri di solito). Qui siamo in una situazione di emergenza, lo stipendio deve bastare da qui, fino a data da destinarsi.

Dicevo. O forse sarebbe meglio dire (o scrivere) scrivevo…sveglia 7.47, la seconda ambulanza giunge a ricordarmi che mi devo svegliare, svegliare davvero.

Le bambine dormono, ultimamente dormono tanto, proprio come ho fatto io finora.

La luce del bagno, fioca, contrasta le mie iridi.

Fuori il sole.

Mi sciacquo il viso.

Mi lavo dappertutto.

Mi lavo i denti.

Mi trucco leggermente.

Cambio la maglietta.

Rimetto i pantaloni del pigiama. Perché non vado a lavorare. Da oggi lavoro da casa.

Sarà sufficiente che cambi solo i pantaloni, nessuno mi vedrà. Non sapranno se sono struccata o meno, se sono presentabile, se mi sono pettinata.

Le giornate, seppure lunghe, molto più lunghe di quanto ti aspetti, sono serrate.

Le cose in casa da fare sono tante, i compiti vengono assegnati a valanghe settimanalmente e ti ritrovi improvvisamente avviluppato dal mondo scolastico, del quale prima poco ti interessavi, perché ciascuno di noi ha il suo mestiere, ed è giusto così.

Ci sono le video lezioni, i compiti su dieci dispositivi diversi tutti da scaricare (lo ammetto, me ne perdo qualcuno per strada, e penso di non essere la sola).

Ci sono gli incontri di lavoro, le riunioni con i capi a distanza.

Ci sono le video chiamate con i parenti di cui non ricordavi quasi neppure più l’aspetto.

Ci sono i flashmob con gente che canta, suona, applaude, mangia, sbraita sul balcone.

Improvvisamente ti ritrovi a voler condividere un quotidiano con altre persone, tipo i vicini, dei quali prima non ti importava nulla. E non perché non gli volessi bene o perché non ti interessasse, semplicemente non avevi il tempo né la possibilità di guardare fuori dalla porta. Perché a casa non c’eri mai; non c’eri per le cose quotidiane; non c’eri per una telefonata; non c’eri per un amico che aveva bisogno di una parola di conforto.

DICIAMOCELO: Non c’eri nemmeno per TE!!

Ed ora abbiamo tempo in quantità. Tempo per leggere, scrivere, salutare il vicino, chiamare, piantare semini nell’orto, guardare un film, affacciarci al balcone per cantare (e magari, finalmente imparare) l’inno di Italia, lavorare da casa, fare i compiti da casa, cucinare studiando a fondo le ricette di Gualtieri Marchesi, videochiamare tutti quelli che hai perso dagli anni ’90.

Tempo a volontà, tempo da scorpacciare come se non ci fosse un domani. Tempo per chi non aveva tempo.

Tempo che bramavamo da tempo.

CHE MERAVIGLIA, non trovate?

Eppure ci sono istanti in cui mi piacerebbe tornare indietro a quando non avevo tutto questo tempo per abbracciare la mia famiglia e cucinare i miei manicaretti, oppure a quando non riuscivo ad aggiornare questo Blog come avrei voluto perché soffocata dalla mia quotidianità. Mi manca il mare con tutta la bellezza da guardare; un panino divorato fuori tra la gente in Corso Vittorio Emanuele, a Milano; mi manca fare un bel giro in una libreria piena di chicche letterarie; mi manca un tour nei musei, o visitare una mostra; mi manca fotografare e farmi fotografare. Mi sento quasi un’ingrata a rivolere indietro quei momenti che non mi facevano apprezzare tutto questo.

Così ora deglutisco mandando dritti in fondo allo stomaco i pensieri futili, e penso che sono felice di questo tempo che (purtroppo) durerà a lungo, per tutti noi. Mi scende una lacrima quando penso a tutti quelli che se ne sono andati, o a quelli che lottano per la vita attaccati a un respiratore, o agli infermieri e al personale medico, veri EROI di questo famigerato TEMPO.

Torno a lavorare, e vi lascio un sorriso, anzi, una canzone. Un modo, forse il solo, di dire addio alla tristezza.

Che di tristezza è pregno questo tempo, ed io non ne voglio sentir parlare.

Vi abbraccio, stretti.

Letizia Turrà