La leggenda di Gina Cardamone, l’autostoppista fantasma.

 

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È ormai noto ai più l’attaccamento ai fenomeni paranormali diffusi nel Sud Italia. Siamo un popolo molto legato alla religiosità estrema, alla parte spirituale più pura, a fenomeni di suggestione che si protraggono da anni attraverso i racconti di grandi e piccini.

Oggi voglio parlarvi di una storia che ha dell’incredibile, incastonata come una pietra preziosa, tra realtà e leggenda.

È la storia di Gina Cardamone, una studentessa da tutti conosciuta come “l’autostoppista della pioggia”.

Gina Cardamone nacque nel 1930 e morì nel 1947, a soli 17 anni, a causa di una malattia incurabile, lasciando i genitori nello sconforto più totale per molti anni (si pensi al fatto che la madre morì nel 2000 alla veneranda età di novantatré anni, sopravvivendo alla perdita della sua unica figlia).

Tornando alla leggenda che riguarda la studentessa, si narra che in una notte piovosa e fredda per la strada fosse possibile incontrare una fanciulla di bell’aspetto e ben vestita, priva di cappotto.

Gli ignari passanti, mossi a compassione, avrebbero offerto un passaggio alla ragazza, prestandole il proprio cappotto affinché non sentisse freddo.

In macchina la ragazza raccontava di essere una studentessa all’ultimo anno, di chiamarsi Gina e chiedeva di essere accompagnata in uno specifico luogo. Una volta scesa dall’auto scompariva, dissolvendosi nel nulla.

Quel luogo in cui terminava il viaggio, era effettivamente la casa della famiglia Cardamone.

La ragazza chiedeva anche all’automobilista di tornare il giorno successivo per ritirare il cappotto.

Così, per molto tempo, decine di persone sono andate a bussare alla porta della madre di Gina, venendo a scoprire che la ragazza era morta molti anni orsono.

La scoperta più sconcertante riguardava il cappotto, che nessuno fra gli automobilisti ritrovava nel luogo indicato dalla ragazza, bensì sulla sua tomba, un mausoleo con una statua femminile, che tutti riconducevano per la somiglianza proprio alla studentessa.

Ero bambina quando mi raccontarono questa storia. 

Una persona a me molto vicina asserì addirittura di averla vista per davvero, facendomi venire i brividi.

Ho deciso di andare direttamente al Cimitero di Catanzaro davanti alla sua tomba per rivedere quella statua che da piccola tanto mi incupiva e incuriosiva allo stesso tempo.

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Ai piedi di Gina ora ci sono i suoi genitori, Fioramante Cardamone e Raffaella Loprete, e il fantasma di Gina sembra aver cessato di esistere da molto tempo.

I genitori scrissero parole molto toccanti dedicate alla loro unica figlia, che ora fiera punta il suo sguardo di marmo bianco verso il cielo: “Con te, o figlia diletta, s’è spento l’orgoglio dei tuoi. Sorretto dalla fede, vivificato dalla speranza, vivrà l’affetto per te finché i nostri cuori avranno un palpito e una lagrima le nostre pupille”.

Ho avvertito un senso di pace lì, tra quei silenzi sigillati, in cui è possibile udire solo il bisbiglio sofferente di chi va a trovare i propri cari e la certezza che solo gli alberi possano custodire ogni singolo alito di vento.

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Ho pensato a molte cose, e spero che Gina sia in pace ora, stretta nell’abbraccio dei suoi genitori che tanto l’avevano amata.

A presto, Letizia T.

ph: Leti Turrà, Cimitero di Catanzaro, 2018

Sulla mia tomba voglio che vengano piantati dei gigli…

L’ennesima lesione ha preso forma; inizialmente era apparsa come una grossa bolla piena d’acqua dietro al collo, adesso è una macchia rossa indelebile come vernice, e il resto del corpo ne è pieno.

Anni di cure non sono stati sufficienti a nascondere il mio terribile segreto.

La mia anima imputridita si aggira ora tra le stanze della mia casa, come fossi uno spettro.

Jules non ha mai aperto la porta, e non ha voluto più vedermi. Deve avere capito tutto, e mi odia per tutto il dolore che gli ho procurato.

Ho sempre pensato che il male fosse qualcosa da propagare, non ho mai accettato che rappresentasse solo un mio fardello; le sofferenze dovevano essere condivise, per essere davvero reali.

E con la mia scelta ho distrutto la vita di molte persone che mi hanno amata, mentre io non ho mai conosciuto bene il significato della parola “amore”.

Non conoscevo né desideravo l’amore, quindi come avrebbe potuto farmi del male?

E invece l’unico amore che ho conosciuto è stato un amore malato, di una malattia atroce, che mi sta consumando dall’interno e che pian piano giungerà a impossessarsi anche del mio volto sfigurato.

Sulla mia tomba voglio che vengano piantati dei gigli, non profumano ma sporcano, con i loro pistilli color dell’oro.

Tutti amano e odiano i gigli.

Sarò qualcosa che viene ammirato ma odiato, per i suoi effetti collaterali.

“Lacrime di legno”, Letizia Turrà

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