La capsula del tempo…

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Tra noi si era come stabilito un patto: io parlavo e lui ascoltava quanto avevo da dire. Era più una sorta di seduta psicoanalitica che un dialogo tra amici.

Ci piaceva stare insieme nonostante mio nonno ci dicesse di stare attenti quando giocavamo nel labirinto, giacché essi sono costruiti con la concezione che chi vi entri trovi difficoltà ad uscirne.

E così nel labirinto adoravo nascondermi da Cesare, lasciavo che mi cercasse provando dentro di me il brivido dell’essere poi scoperta.

Il vento che scuoteva le foglie non lasciava intuire qual era il momento in cui egli si sarebbe avvicinato, pronto a sorprendermi.

Quando infine in modo inatteso mi sentivo afferrare per un braccio, scoppiavo a ridere con la mia voce stridula.

Un mattino, al termine di una lettura in biblioteca, Cesare mi guardò entusiasta.

-“Laura hai mai sentito parlare della capsula del tempo?”

-“La capsula del tempo? Che cos’è?”, dissi avvicinandomi a lui e dando un’occhiata al libro da cui proveniva quell’illuminazione.

-“E’ semplice da quello che ho letto, basta trovare una scatola che contiene qualcosa di nostro e metterla sotto terra. Poi tra qualche anno, magari tra 100 anni quando noi saremo morti, qualcun altro la troverà e saprà chi ha vissuto in questa casa.”

-“Sembra fantastico, facciamolo!”, gli dissi felice.

Il nonno aveva un grosso capannone carico di attrezzi, che teneva lucidi e splendenti come gioielli.   Vi entrammo di soppiatto appena avvertito il silenzio nell’aria, rubammo la vanga e andammo nel labirinto per scavare.

-“Ma non è troppo lontano qui Cesare? Non lo ritroveremo con facilità.”

-“E’ il posto giusto, non siamo noi che dovremo ritrovarla, ma altre persone che verranno dopo di noi.”

-“Non essere assurdo, ci saremo sempre e solo noi, siamo figli unici, gli unici che possano ereditare queste case.”

-“Che importa adesso? Magari i nostri figli se un giorno li avremo, troveranno quello che abbiamo lasciato. Insomma vuoi farlo sì o no?”

Gli feci cenno col capo che intendevo farlo e iniziammo a scavare.

Facemmo una buca profonda circa 90 cm, abbastanza per essere un giorno ritrovata.

-“Bene, ora non ci resta che mettere dentro qualcosa di nostro.”

Cesare scrisse un bigliettino con una frase, io anche e inserii anche una foto di mio nonno. Mi sarebbe piaciuto un giorno che i miei figli lo conoscessero e sapessero quanto era stato importante per me.

In quelle foto era ritratto con gli occhiali, gobbo e intento a lavorare sulla macchina da scrivere, una  Olivetti lettera 22. Era la foto che lo rappresentava meglio.

Presi una scatola dal mobile delle scarpe e misi dentro i nostri cimeli.

Eravamo soddisfatti per ciò che avevamo fatto, ma sporchi di terra, fino al collo.

Per segnare la posizione, piazzammo una bandierina colorata, non visibile per chiunque.

-“Sarà il nostro segreto Laura, promesso?”

-“Sì, prometto che lo sarà.”

Tratto da “Il labirinto di orchidee -Niente è come sembra” di Letizia Turrà (pubblicazione 2015)

Photo: Google photos

Quando il sesso ti trascina in un vortice… .

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Cercò il mio sguardo con i suoi bellissimi occhi verdi: “Giovedì sera? Dammi l’indirizzo di casa tua e passo a prenderti alle 20.30.”

-“Questo è il mio indirizzo di casa, citofono 13. Secondo piano. Ok vada per giovedì alle 20.30, ti aspetto.”

Arrivata in ufficio non potevo credere a tutto ciò che era avvenuto.

Sembrava un sogno divenuto realtà, avrei voluto urlare quella felicità ai quattro venti, ma non potevo.

Chiara notò subito dal mio aspetto che qualcosa era successo.

-“E così ti ha invitata questo giovedì?????? Ma è bellissimo!!”

-“Shhhh, così ci farai sentire da tutto l’ufficio, ti prego non dire nulla, aiutami solo a trovare un vestito che mi stia bene per dopodomani o mi suicido!”

Arrivata la sera del nostro incontro Chiara mi aveva fornito un abito da urlo, lungo e con uno spacco vertiginoso.

20.30. L’ora della verità, il momento che avevo atteso per anni.

Giorgio arrivò alla porta con un mazzo di rose rosse a stelo lungo. Erano bellissime.

Distolto lo sguardo dal mio, lo rivolse al mio vestito e i suoi occhi si illuminarono.

-“Non ce la faccio, sei troppo bella, perdonami per quanto sto per fare.”

Non capii fino a quando non mi baciò, gettai i fiori a terra e gli presi la testa tra le mani. Chiuse la porta e mi sollevò prendendomi in braccio.

Mi fece sedere sul tavolo della cucina che fu il primo piano di appoggio che aveva trovato e iniziò a spogliarmi e a spettinarmi i capelli.

Il vortice sessuale ci aveva improvvisamente colti.

Iniziai a bagnarmi per l’eccitazione e ad ansimare insieme a lui presa da quel fuoco inestinguibile.

Era sesso, era fervore. Morsi e schiaffi, urla e gemiti invasero la stanza nei successivi venti minuti.

Non potevo credere di aver fatto l’amore con un uomo visto appena tre volte.

Il modo che adoperò di trascinarmi in quella circostanza, e le sue mani che toccavano ogni parte di me mi portarono a fare cose mai fatte.

Un piacere senza precedenti pervadeva il mio corpo. Un bisogno implacabile, di cui sentivo fame. Quell’urgenza di essere amata e completata che ogni donna vera merita.

E nelle sue mani finalmente mi sentivo appagata e felice.

Non volevo smettesse.

Dopo la prima volta infatti arrivò la seconda, la terza, la quarta e la quinta fino alle prime ore della notte, senza fermarci.

Altro che ristorante e cena. Questo era molto meglio, molto più di quanto potessi credere.

Man mano che il sesso proseguiva, Giorgio si dimostrava sempre più dolce e affettuoso.

-“Come ti sei procurata queste cicatrici?”

-“Speravo non le avresti notate. Ma è quasi impossibile, ormai vivono con me e sono parte integrante di me. Ho subito una mastectomia per asportare un tumore al seno che stava diventando maligno.”

-“Sei bellissima Laura, proprio per queste tue cicatrici che ti rendono così, bella e speciale. Poche donne possono dire di essere così complete come sei tu. Io ti trovo fantastica.”

Mi fece gioire il fatto che Giorgio vedesse ben aldilà di quelle cicatrici che una volta avevano rischiato di farmi dimenticare quanto fosse preziosa la mia esistenza.

-“Resta con me stanotte. Voglio che tu faccia ancora l’amore con me, desidero il tuo corpo sul mio, voglio tu mi possieda come hai fatto finora.”

-“Tu sei già mia. Sei mia Laura, ed io non ti lascerò più andare via.”

Facemmo per la sesta volta l’amore. Da innamorati. Da persone desiderose di non lasciarsi più.

Fu difficile il mattino seguente lasciarlo andare via, sapendo che volevo restare con lui a letto tutto il giorno, a fargli da mangiare, a condividere insieme un film, a scherzare su aneddoti divertenti riguardanti la nostra improbabile prima volta, il primo innamoramento, le prime emozioni.

Tutte cose che una coppia ci si aspetta condivida quando c’è affinità e feeling.

Invece dovetti tornare al mio dovere, non senza riserve.

-“E’ stato meraviglioso restarti accanto questa notte, da troppo non provavo una sensazione simile. Non lasciarmi Laura, ti prego, non lasciarmi mai.”

Quel suo modo ripetuto di chiedermelo mi fece sentire quasi a disagio.

Non potevo credere si fosse già innamorato di me, non così in fretta, ma la gioia superava le perplessità.

-“Non ti lascerò Giorgio, te lo prometto se tu prometti di non lasciare me.”

-“Non lo farò di certo. Ormai sei mia!”, urlò dalla tromba delle scale.

Sorrisi ma ebbi poco tempo per pensare, ero in ritardo al lavoro, quindi andai di corsa a prepararmi.

“Il labirinto di orchidee”, di Letizia Turrà

Photo: Google search