Non ti stancare mai
di strappare spine,
di seminare
all’acqua e al vento.
La storia non miete a giugno
e non vendemmia a ottobre.
Ha una sola stagione:
il Tempo.
Queste parole di Ignazio Buttitta, dettate dal cuore, me le manda Daria attraverso la sua voce su Messenger. Risuonano dentro di me come tamburi che sento tuonare in lontananza. Sono un richiamo potente al momento che stiamo vivendo, tutti.
Quando ho intrapreso la mia esperienza qui, nel piccolo paesello di 4000 abitanti dove vivo, non immaginavo che sarei diventata amante della terra, o responsabile di qualcosa differente dalla pianta grassa da appartamento che tenevo sul piccolo balconcino del cucinotto microscopico nel quale vivevo; puntualmente la pianta grassa moriva, insieme a tutte le altre che compravo per colorare il grigiore dei giorni milanesi.
In questi giorni qui, in campagna, nella mia casa un po’ più grande (molto più grande) di quelle in cui ho vissuto fino a 14 anni fa, in quarantena da ormai …oddio non ricordo più nemmeno quanto tempo è passato dal momento in cui ho cominciato a pronunciare questa parola che può fare paura, sto proprio bene.
La mia vita bucolica ormai mi appartiene, totalmente. Ed è qualcosa da cui dipendo come mai avrei potuto pensare.
Sono passata dal chiedermi quanto mi sarebbe costato stare lontana dalla mia vita da pendolare che mi vede stare fuori casa dieci ore al giorno, al dire: “Ma sai che non fa poi così schifo stare a casa, visto che prima mi lamentavo sempre del fatto che non me la potessi godere, né avessi tempo di stare dietro a tutto?”
Mi sono chiesta se la quarantena durasse solo 15 giorni, oppure quaranta (se si chiamava così, mi son detta intimamente, è perché dura oltre 40 giorni, però rimane una mia constatazione).
Non ero mica più abituata all’odore di pane e pasta fatti in casa. Non ero neppure abituata a far studiare con maniacale attenzione le mie figlie. Sono passata dal nulla al fare un planning scolastico settimanale e giornaliero, ovviamente durissimo, che ci garantisca di stare al passo con la programmazione scolastica. Sono infatti orgogliosa dei risultati!
Sono passati, li ho appena contati, ben 56 giorni, in cui ho vissuto la mia casa appieno, ne ho conosciuto ogni angolo e ogni pecca: un lavoretto da fare qui, un altro da fare lì, l’esterno da riportare a nuova vita dopo l’inverno cupo e nebbioso, i colori della primavera e la luce naturale, che hanno reso tutto più magico.
Ho condiviso maggiormente sui Social la mia vita come non mi era mai capitato, non solo ai fini della condivisione, ma giocando sul piano emotivo atto a ispirare un altro a scoprire di quanta bellezza collaterale è pregno il mondo che ci ospita.
Se ci penso, porca miseria, mi si illuminano gli occhi e sento lo stomaco fremere come un muscolo involontario, come se ci fossero mille farfalline dentro, come quando da ragazzina mi innamoravo di qualcuno.
Prima non mi accorgevo di certe cose piccole, fondamentali, vitali, essenziali.
Non mi ero mai accorta, ad esempio, di quanto il mondo delle mie figlie fosse affascinante, strutturato, misterioso; di quante cose sapessero fare e di come siano abili ad esprimerle con ogni particella del loro corpo. Quanti sorrisi e sorprese mi sono persa per via della vita che facciamo.
Così oggi ho preparato la pasta al forno per la famiglia, con tante verdure buone. Nonostante qualche brontolio da parte delle piccole, i piatti sono rimasti puliti. 🙂
Ed ora non mi perdo più nulla, e a casa scopro che non ci sto male. Grazie al cielo ho ancora il mio lavoro che svolgo a settimane alterne da casa, ho ripiantato le pianticelle nell’orto. Tra qualche settimana cresceranno e ci daranno tanti bei pomodorini.
E ho imparato ad ascoltare la musica ancora più intensamente, al punto da essere giunta a sovrastare ogni silenzio, ogni moto di rabbia e inquietudine che a volte si crea; ha reso ovattata la nostra permanenza nelle quattro mura di casa, rendendo la convivenza H24 qualcosa di normale, come se fosse sempre stata così.
“Chissà quando torneremo alla normalità” – è l’affermazione che sento pronunciare da moltissimi. Presuppone una speranza di riprendere in mano la propria esistenza, come se quella che ci fosse ora, non andasse bene.
Resto in silenzio e sorrido perché dentro di me mi chiedo se davvero vorrò tornare alla normalità. Ci voglio tornare davvero? Se potessi scegliere consapevolmente, per ogni istante, sceglierei di riprendere tutto il pacchetto?- mi domando.
Quel che penso è che si può stare bene dovunque si sta, purché ci si trovi in armonia con se stessi.
Non ci resta che trovare un angolino piccolo, tutto per noi, dove sperimentare cosa voglia dire stare in pace con il proprio IO.
Sovente, alla fine del giorno, ritorno bambina come ero una volta.
Accantono obiettivi e sogni riponendoli in un cassetto, impaziente di tirarli fuori l’indomani. Ho bisogno di un moto che mi spinga avanti, si trattasse anche solo di un flebile raggio di sole.
Perché anche i grandi come me, hanno bisogno di credere in un domani, proprio come ci credono i bambini.
So che questa “segregazione”, come molti l’hanno definita, mi mancherà terribilmente.
Letizia Turrà
In ascolto, https://youtu.be/5ZeoDK1sjb8