Quello che non cancelli, resta.

Mamma e io si parlava, di tante cose.


Poi c’erano momenti di silenzio, quasi sempre interrotto da altri tipi di suoni: clacson per la strada, schiamazzi di bambini, urla dei vicini di casa, porte di ascensori che si aprivano e si chiudevano; qualche volta anche le lacrime di mamma che piangeva nell’altra stanza.


Sentendomi in colpa, la raggiungevo col pensiero senza davvero avvicinarmi a lei. Prendevo una pentola, facevo soffriggere l’aglio, poi mettevo il sugo e l’acqua a bollire. In seguito mi avvicinavo alla porta per sentire se piangeva ancora.


Quando la pasta era pronta, e pure il sugo era pronto, la chiamavo.
Sedeva al mio fianco come se niente fosse.


“È buona, lo sai?”. Diceva con tono sommesso, sapendo che io avrei sorriso.
Da quando l’Alzheimer mi ha colpita, questo è l’unico ricordo che mi è rimasto. Mamma non piange più, ed i miei silenzi si sono prolungati nel tempo.


Quello che non cancelli, resta – mi dico sempre quasi come se servisse a rafforzarmi.
Lei invece sosteneva che quello che non ti uccide, ti fortifica.


Oggi so che non è vero. Quello che non ti uccide ti ammazza comunque a lungo andare; smorza il significato del quieto vivere che vorresti.


Ti forza a tornare indietro e a sentire ogni rimorso divorarti lo stomaco, quando tutto ciò che vorresti è cancellare.
Ho preparato una pasta al pomodoro.


Chissà se mamma ne vuole ancora.

Letizia Turrà

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