L’importanza del “QUI E ORA”…

vetrina

Era tardi per dirsi addio, per parlarsi, per chiarirsi.

Chi ha detto che nella vita si è sempre in tempo per fare tutto mente.

Ci sono momenti e persone che, una volta persi, non tornano indietro.

E’ questa l’essenza della vita: tempo a disposizione in quantità limitata rispetto ai nostri sogni e momenti che non tornano indietro ma che racchiudono la loro bellezza proprio nel principio del “qui e ora”, nel presente che non si ripeterà.

Era questo che Nestor intendeva quando diceva che il tempo era stato tiranno con lui.

Secondo lui avremmo dovuto vivere come i greci consapevoli che gli dei ci invidiano perché ogni istante per noi potrebbe essere l’ultimo.

Ed è su questo principio che io stessa avrei basato la mia vita da quel momento in poi godendo del presente e reputando magico ogni istante per il fatto di non essere immortale.

Letizia T.

Photo: Eugenio Photography (Facebook)

Paul and John: storia di due amici-nemici

john e paul

“Gli amici tieniteli stretti, ma i nemici ancor di più”.

Così citava una frase di uno dei film più noti nel mondo del cinema.

Chissà se John e Paul sarebbero stati d’accordo con questa massima visto che l’intero mondo ha sempre pensato fossero nemici nella realtà, e amici solo per circostanza.

Forse la vita ci divide da chi amiamo davvero, anche da coloro con i quali condividiamo palpitazioni, batticuore e paure di non essere compresi.

Loro sì che sapevano quanto importante fosse ricevere quell’applauso, quella carezza del pubblico proveniente dal basso del palco, mentre la folla delirava urlante per quei quattro ragazzi di Liverpool, e più ancora, per John e Paul.

Paul, nato a Liverpool il 18 giugno 1942 da Mary Mohin, infermiera del reparto maternità del Walton Hospital di Liverpool, è cresciuto con insegnamento laico, e fin dalla tenera età sviluppa un amore innato per gli strumenti e la musica. La madre Mary, per cui scriverà una delle sue canzoni più famose “Yesterday”, muore dopo una mastectomia eseguita per il tumore al seno quando Paul ha solo 14 anni.

Questa fondamentale perdita rappresenterà l’inizio del suo legame con John Lennon, anch’egli rimasto orfano di madre a soli 17 anni.

Nel 1956 i due fonderanno una band, “The Quarrymen” – “I cavatori”, che li porterà ad esibirsi nella loro piccola realtà al fine di farsi conoscere. In futuro diventeranno “The Beatles” e, a partire da quel momento, nulla sarà più uguale.

Jonh nasce a Liverpool al Maternity Hospital di Oxford Street il 9 ottobre 1940. Della sua infanzia dirà: “La prima cosa che ricordo è un incubo”.

Persona introspettiva John, forse anche un po’ troppo, non può fare a meno di trascinarsi dietro quella sofferenza che maschera dietro atteggiamenti da selvaggio, che usa nel modo di porsi nei confronti di chi lo colpisce, per un motivo o per un altro.

Rispetto a Paul sembra quasi rifiutare gli applausi fragorosi del pubblico e dei loro gioielli “tintinnanti”, soprattutto quando in seguito passeranno da semplici ragazzotti di provincia ad acclamati big della storia musicale.

John è il poeta fra i due, Paul è il baronetto sputa sentenze. Sarà così che molti lo vedranno anche in seguito, come il despota che detestava l’intromissione degli altri durante le registrazioni in studio, che decideva gli accordi dei brani e la ritmica. George Harrison in un video gli dirà guardandolo negli occhi: “Ok, facciamolo come vuoi tu, non c’è problema!”, dopo l’impennante diverbio tra i due nato per un accordo che Paul sembrava non gradire.

Anche Yoko rappresenta un serio problema per i Beatles. Paul la vede come una minaccia per il gruppo e forse, visto come andarono le cose, non aveva tutti i torti.

Quando sciolsero il loro sodalizio, dopo 10 anni che furono come 20 per il mondo della musica, tutti intrapresero un percorso in solitaria, ciascuno con il proprio prezioso bagaglio, ma senza più il supporto morale che sosteneva l’impero che furono in grado di fondare come Band.

John era solo, solo con le sue paure, le sue fobie, la sua poesia e…i suoi incubi, nonostante l’amore profondo di Yoko.

Paul prosegue felice la sua carriera e conosce Linda Eastman, successivamente nota come Linda Mc Cartney, che sposa e con la quale fonda i “Wings”, riscontrando un successo dopo l’altro negli anni. Anche quell’amore verrà bruscamente interrotto da un tumore, lo stesso che aveva divorato la vita di sua madre, e che la porta alla morte il 17 aprile del 1998.

Nella loro carriera i Beatles hanno fondato mode, forgiato menti, fatto trepidare i cuori e rafforzato il legame tra persone tanto diverse fra loro.

Con la loro semplicità (i loro brani durano in media 3 minuti ma contengono davvero tutto!) hanno saputo rendere onore ad un messaggio d’amore che ha contaminato l’intero globo.

John decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e scrive una canzone dura contro il suo nemico (Paul), in cui dice che l’unica canzone bella che egli sia stato in grado di scrivere sia proprio quella dedicata a sua madre: “Yesterday”. Poi chiede arrabbiato: “Come fai a dormire la notte?”.

L’ultima volta che i due amici/nemici si erano visti era stato nel 1974 in una sessione di studio di Los Angeles.

Quel brano, scritto così rabbiosamente da John, sembra quasi un richiamo alla coscienza dell’amico perduto nel corso della vita che ora ha il sapore più di “nemico”, “avversario”.

Paul non risponde, lui non si scompone mai. Lui è abituato ad andare avanti, nonostante tutto.

John passeggia per la sua New York, è esattamente l’8 dicembre del 1980.

Davanti al Dakota Building, proprio sotto casa sua, Mark Chapman, come qualsiasi fan avvicinatosi al suo beniamino per chiedergli un autografo, spara contro di lui cinque colpi di pistola. Yoko lo vede morire così, agonizzante sul marciapiede.

L’intero mondo è scosso. Paul è scosso, ma ancora una volta, non si scompone e va avanti, nonostante tutto.

Fino ad un’ultima intervista, fatta poco tempo fa, dall’alto dei suoi 73 anni, ad un giornale, in cui ammette di sentirsi contrariato per il fatto che John sia diventato un martire, mitizzato per il solo fatto di essere stato assassinato. Sostiene amaramente che se si cerca un brano dei Beatles sull’I-pad, uno qualsiasi, gli autori del brano elencati, per esigenze di spazio, sono “John Lennon…e poi? Non si vede anche l’altro autore che sarei io!”.

Se ne lamenta Paul, a giusta ragione, perché quei pezzi, di suo pugno insieme a John, li ha scritti lui. La sua vita è lì e non giusto che questo venga dimenticato.

Quei brani sono la sua vita. È lui quello, anche se molti amanti del mistero ancora sostengono che fosse morto all’età di 27 anni e che sia stato messo un sosia per sostituirlo proprio durante il periodo di maggior successo della Beat Band (posso dire di non aver mai sentito una fesseria più grossa di questa)!

Possiamo sostenere a questo punto che, seppure con tempi diversi, i due si siano detti chiaramente come la pensavano l’uno dell’altro.

And in the end – diceva la canzone di Paul “The End–  the love you take it’s equal to the love you made (tradotto:alla fine l’amore che prendi, è uguale all’amore che hai dato).

Mi piace pensare che molto di quell’amore consegnato alla gente dal loro palmo della mano sia ritornato al mittente e che due persone, così diverse fra loro, in realtà possano essere state molto più vicine rispetto al tempo e al dolore.

Con affetto,

Letizia T.

Saudade…

saudade

Josh mi aspettava alla fermata ancora come il primo giorno, ma non mi avrebbe trovata, avevo avuto un appuntamento importante quel giorno con il mio destino, non sarei mai arrivata in tempo.

Questa volta mi trovavo in Brasile, per l’esattezza a Rio de Janeiro.

In questo periodo Rio è in trepidante attesa del Carnevale, stupenda e piena di artisti di giorno e di notte, questa splendida Città ha due diverse facce, ad ogni ora c’è qualcosa pronto per stupirti dietro l’angolo e per le strade.

Mi distendo a prendere il sole sulla spiaggia di Copacabana, la musica Bossa Nova riecheggia in lontananza:

“Triste é viver na solidão        Triste è vivere in solitudine
Na dor cruel de uma paixão  nel crudele dolore di una passione
Triste é saber que ninguém    Pode viver de ilusão Triste è sapere che nessuno può vivere di illusioni
Que nunca vai ser                    che nulla può essere preso

nunca vai dar                         nulla può essere dato
O sonhador tem que acordar  il sognatore deve svegliarsi

Tua beleza é um avião            La tua bellezza è un aereo
Demais p’rum pobre coração   per un cuore troppo povero
Que pára pra te ver passar       che si ferma per vederti passare
Só pra me maltratar                   maltrattandomi

Triste é viver na solidão             Triste è vivere in solitudine

Adoro Rio, ci sono ritornata cinque volte in tutto, è una Città interessante gioiosa e triste proprio come la “Saudade” che vive intorno al popolo con costanza senza lasciarlo mai.

Solo ora capisco cosa sia la famosa nostalgia che i Brasiliani sentono, le lacrime appannano la vista del mare ai miei occhi, non so neppure da quanto tempo non piango più, ormai ho preso un modo meccanico di fare le cose e nulla sembra essere più in grado di emozionarmi.

Qui in questo posto ricco di gente solare e sorridente posso trasformarmi nella ragazza di Ipanema, libera di essere ciò che sono e che voglio essere, senza vincoli.

Per chi come me, sente di essere un’artista nel suo lavoro, questo posto è l’ideale, fa sognare la vista del Cristo Redentor in cima che sembra possa abbracciare tutta Rio.

Decido di salire fin lassù, voglio vederlo da vicino. C’è una leggera nebbia intorno a quel punto, data l’altitudine, il che rende tutto più mistico.

Questa enorme statua Liberty rappresenta tutta la cultura e il Credo di un popolo estremamente cattolico ed invidio questa gente, così piena di fede pur non avendo mezzi per sopravvivere.

Quello che infatti mi stupisce è l’enorme, palese divario tra la povertà assoluta e l’enorme ricchezza anche tra la popolazione stessa.

Mentre riprendo la funivia per tornare giù scrivo di quello che vedo dall’alto sul mio taccuino:

“Aldilà del muro vi era un’altra vita. A guardarlo sembrava una sorta di muro di Berlino, da una parte vi era un parco giochi con bambini e spazi di verde, ragazzi seduti su panchine di legno massiccio, nuove di zecca, a fumare sigarette. Laddove invece passava il treno, vi erano ammucchiati spazzatura e cartoni a formare le abitazioni dei più poveri.

Quelli dal lato dei ricchi, mi chiesi, erano seriamente coscienti che dall’altro lato pullula la vita di altri esseri viventi, ridotti a vivere come scarafaggi di una Società dimenticata? E tutto questo a soli 200 mt da loro.

Questo avvenimento destò in me una riflessione certa: Quante volte abbiamo davanti a noi o alle nostre spalle avvenimenti, situazioni o persone che si celano dietro a un muro”?

Intanto ha iniziato anche a gocciolare, è ancora la stagione delle piogge.

Aldilà del muro – diario e confessioni di una Escort Capitolo ventiseiesimo di Letizia Turrà

Tutti i diritti sono riservati. Opera protetta da copyright

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La critica della settimana – Ghosting: la nuova frontiera dell’amore bastardo.

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La migliore illusione in questo mondo…è l’illusione della separazione.

 

 

È una moda importata dagli Stati Uniti, e prevede la totale scomparsa del partner dalla vita dell’altro senza alcun preavviso, quando quest’ultimo abbia deciso di lasciarlo.

Una volta almeno si usavano gli sms per lasciare il proprio fidanzato/consorte etc; oggi usiamo il metodo “sparire”, letteralmente…per sempre!

Non mi sorprende che la nuova frontiera dell’amore sia quella di abbandonare il proprio partner senza dirglielo, in un’epoca tecnologica nella quale ormai gli unici stati che condividiamo sono quelli su Facebook.

Sarò anche all’antica, ma ritengo che lasciare una persona con la quale hai condiviso ogni sforzo, costruito una casa, progettato figli o futuro senza una ragione e neppure una comunicazione, sia deplorevole.

Tendiamo troppo spesso a scappare dall’amore, tendiamo a trattare le persone per come ci trattano senza esclusione di colpi, tendiamo a lasciar correre una violenza psicologica piuttosto che ribellarci, e lasciamo persone che ci fanno sentire amati. Tendiamo a separarci dalle cose, dagli affetti, come se servisse a tutelarci dal dolore.

E l’altra aberrante questione riguarda il fatto che ci abbiano fatto un articolo e ne abbiano parlato i telegiornali!

Anche i media (soprattutto quelli) ci indottrinano alla separazione, quando ciò che funziona davvero è essere uniti, insieme.

In quanto donna mi sento di dire che se dovessi subire da parte di mio marito l’abbandono senza alcuna spiegazione, io impazzirei.

È solo nell’unione che si possono superare le difficoltà e questo vale per una coppia, così come per un team di lavoro.

Ogni giorno mi alzo e mi sento fortunata, dopo 15 anni mio marito mi bacia ancora sul naso al mattino mentre mugugno, perché non voglio alzarmi.

Parlo con moltissime persone quotidianamente, e sempre più comprendo che la gente ha bisogno di amore, un fottuto amore su cui contare che gratifichi, che completi, che non ti faccia venire voglia di abbandonare, o di scappare.

Come si fa a non comprendere che è un’illusione quella dell’uomo neutro, che può vivere da solo, separato da tutto e da tutti, per tutta la sua esistenza?

Andiamo, non ci crederete anche voi, vero?

L’uomo può vivere un determinato periodo della sua vita così, ma non tutta la vita.

Non guardo il telegiornale da 6 anni perché ciò che ho compreso è che questi mezzi non ci forniscono la preziosa opportunità di crescere nell’amore, ma di accrescere il nostro odio, allontanandoci da quella che è la realtà fatta degli sguardi altrui, perché siamo troppo improntati a restare fissi sul monitor di un cellulare.

Voglio darvi un sincero consiglio: guardatevi di più negli occhi, amate chi avete al vostro fianco e se un giorno doveste dimenticarvelo, sforzatevi di pensare al perché avete scelto quella persona come padre/madre dei vostri figli, o più semplicemente perché l’avete scelta e basta.

L’amore vero esiste solo per una ragione: NESSUNA RAGIONE. Quando amate davvero infatti, non saprete dare un nome esatto a quel “sentire”.

Si ama davvero qualcuno quando le ragioni che ti portano a sentire quel sentimento sono sconosciute.

L’altro giorno guardando mio marito negli occhi ho avuto un’altra consapevolezza: avrei potuto girare anche il mondo, ma lui avrebbe comunque riconosciuto i miei occhi, tra milioni di altri occhi, senza più il bisogno di scappare.

A presto,

Letizia T.

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La cura dei ricordi…

ricordi

La lasciai per un attimo che guardava il labirinto dalla finestra con il suo bicchiere in mano e mi recai nello studio di mio padre.

Nel passare dal corridoio alla stanza vidi tutti i libri personali del nonno che un tempo erano catalogati in ordine di argomento quelli di letteratura e in ordine alfabetico in base all’autore quelli di filosofia.

C’erano sopra due dita altissime di polvere. Soffiai sopra uno dei libri di Jung sulla derivazione psicoanalitica e passai con l’indice il bordo di stoffa blu scuro che rivestiva il libro.

Pensando alla cura che chi aveva creato quella copertina fatta a mano doveva averci messo, mi sembrò quasi una mancanza di rispetto quella di tenere in quelle pessime condizioni opere tanto importanti.

Esperanza mi venne incontro notando la mia incredulità.

-“Non mi permette mai di pulirli segnora, dice che i ricordi di suo padre preferisce lasciarli sotto la polvere, dopo è sepolto el suo dolor. Yo lo comprendo, lo entiendo, ma  me verrà un’alergia a furia de non pulire esta libreria!”

Entrai nello studio di mio padre buttando un paio di colpetti alla porta. Era anche peggio di come lo ricordavo.

Era talmente sepolto sotto la coltre dei ricordi con i capelli cresciuti fino alle spalle, gli occhiali piantati sul naso e le mani vaganti nelle ciocche in cerca di ispirazione da non accorgersi del mio arrivo.

Il cestino della carta in poche ore era diventato stracolmo proprio come quando ero bambina. Lo scenario non era affatto cambiato.

Giaceva da chissà quanto tempo sulla scrivania in un misero angolo anche la scatola di sigari cubani amati dal nonno.

Con lo stesso algido distacco che avevo rivolto a mia madre, lo guardai dritto negli occhi.

-“Ciao papà. Come stai? E’ da tanto tempo che non ci si vede.”…

Letizia T.

Tutti i diritti sono riservati e protetti.

Photo: Christian Fossati, Internet

La ragazza dai capelli vermiglio

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“Capelli rossi, fermi sulle spalle.

Cinabro, anzi ancora meglio, vermiglio.

Di un rosso intenso i capelli e di un chiarore spiccato, come la luna d’inverno, la pelle.

La ragazza colta e bellissima siede sulla panchina e sta leggendo. Forse uno di quei romanzi che le resteranno addosso per tutta la vita.

Non si cura dei passanti, non si cura del vento che le scompiglia i capelli, non si cura degli sguardi altrui.

La ragazza è immersa nel proprio mondo, le parole in rilievo di quel libro entrano nell’iride e perforano la mente; indagano su di lei, la perfezionano, la rendono viva.

Vorrebbe essere innamorata perché non lo è mai stata, ma lei sa che l’amore è bello se fa l’amore.
Come vortice richiama chi è amato e avvolge tutto il resto. Dunque l’amore richiama l’amore.
Ecco perché dovremmo iniziare a praticarlo anziché passare il nostro tempo solo a descriverlo.”

Fu così che mio padre la descrisse in un taccuino che portava sempre con sé per prendere spunti, appunti, imprimere emozioni e parlare di tutto ciò che lo colpiva.

Quella donna, descritta tanto dettagliatamente, era mia madre.

Era sempre stato un ragazzo timido e lei in qualche modo lo faceva sentire in parte in soggezione, in parte libero.

Con lei era possibile godere di quella emancipazione che a mio padre era stata spesso preclusa.

Era talmente naturale, priva di sovrastrutture e così dannatamente fuori dalle regole e dai dogmi da sembrare fatta per stare al mondo con quel suo essere meticolosa ma spontanea, sicura ed esperta.

 

Letizia Turrà, “Il labirinto di orchidee” (2015)

Photo: Internet