La lasciai per un attimo che guardava il labirinto dalla finestra con il suo bicchiere in mano e mi recai nello studio di mio padre.
Nel passare dal corridoio alla stanza vidi tutti i libri personali del nonno che un tempo erano catalogati in ordine di argomento quelli di letteratura e in ordine alfabetico in base all’autore quelli di filosofia.
C’erano sopra due dita altissime di polvere. Soffiai sopra uno dei libri di Jung sulla derivazione psicoanalitica e passai con l’indice il bordo di stoffa blu scuro che rivestiva il libro.
Pensando alla cura che chi aveva creato quella copertina fatta a mano doveva averci messo, mi sembrò quasi una mancanza di rispetto quella di tenere in quelle pessime condizioni opere tanto importanti.
Esperanza mi venne incontro notando la mia incredulità.
-“Non mi permette mai di pulirli segnora, dice che i ricordi di suo padre preferisce lasciarli sotto la polvere, dopo è sepolto el suo dolor. Yo lo comprendo, lo entiendo, ma me verrà un’alergia a furia de non pulire esta libreria!”
Entrai nello studio di mio padre buttando un paio di colpetti alla porta. Era anche peggio di come lo ricordavo.
Era talmente sepolto sotto la coltre dei ricordi con i capelli cresciuti fino alle spalle, gli occhiali piantati sul naso e le mani vaganti nelle ciocche in cerca di ispirazione da non accorgersi del mio arrivo.
Il cestino della carta in poche ore era diventato stracolmo proprio come quando ero bambina. Lo scenario non era affatto cambiato.
Giaceva da chissà quanto tempo sulla scrivania in un misero angolo anche la scatola di sigari cubani amati dal nonno.
Con lo stesso algido distacco che avevo rivolto a mia madre, lo guardai dritto negli occhi.
-“Ciao papà. Come stai? E’ da tanto tempo che non ci si vede.”…
Letizia T.
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