Casta diva…

 

 

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Gustavo la attendeva fuori, pronto per portarla di sopra.

Entrata sul pianerottolo, udì una musica lirica provenire dall’appartamento di Scott, ad un volume decisamente alto.

<<Che succede lassù? Ha deciso di tenere un concerto in casa questo pomeriggio?>>

Gustavo non rispose, ma con gli occhi nostalgici, sorrise.

Entrata nel living, rimase ad osservare con gli occhi la stanza, ancora ferma sull’uscio.

Casta Diva, che inargenti, queste sacre antiche piante, A noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel….”

<<Scott!>> pronunciò il suo nome ad alta voce.

Era così giunto lui a spegnere la musica, e lo aveva fatto, improvvisamente.

<<Le piace?>> disse restando nell’ombra.

<<Buonasera, mi ha spaventata per come è arrivato. Immagino parli della canzone? Non amo profondamente la musica lirica, mi fa venire in mente qualcuno di sofferente.>>

<<Forse perché è così. Un’estrema sofferenza, permeata da un’immancabile potenza vocale ed una capacità emotiva al di fuori del comune.>>

Si sedettero come erano soliti fare.

<<Oggi voglio parlarle di me.>>

Patricia rimase colpita da quel gesto imprevedibile; al tempo stesso era felice di apprendere qualcosa di più su di lui e sulla sua storia.

Fu la prima volta infatti in cui l’uomo accese una sigaretta.

<<Non credo le dispiacerà se fumo?>>

<<No, faccia pure, siamo a casa sua.>>

<<Bene. Vorrei iniziare parlandole della mia infanzia.  Sono stato un bambino prodigio, a quattro anni sapevo scrivere, a cinque ero già in grado di leggere, e a sei anni iniziai con eccellenti risultati a suonare il pianoforte, fino ad arrivare al punto di comporre le mie prime canzoni già dall’età di sette anni. Ero così bravo che i miei genitori pensarono fosse arrivato il momento per me di fare solfeggio e canto lirico anche. Mia madre Isabelle era stata una nota cantante lirica per il Teatro alla Scala, motivo per il quale le mie doti non furono poi tanto inspiegabili, fu semplice comprendere da chi avessi ereditato certi talenti. Nonostante fossi un bambino brillante, avevo un grosso problema a farmi da ostacolo, io non amavo parlare, praticamente con nessuno. Un giorno la mia vita cambiò, subendo quasi una rivoluzione. Mi trovavo in vacanza a Bordeaux con la mia famiglia, avrò avuto tre anni, quando alla televisione trasmettevano il concerto di un noto pianista di musica classica. Fu quello il quel momento in cui decisi, seppure tanto piccolo, che la musica sarebbe stata la mia compagna di vita. Mi rifiutavo di comunicare con il mondo esterno e per questo fui a lungo deriso, da educatori e compagni del conservatorio al quale ero stato iscritto. Quella stessa crudeltà che gli altri mi inflissero, divenne per me motivo di crescita e forza. Ero solo, con i miei difetti, che venivano cancellati dal passaggio delle mie mani sul pianoforte.  Diventai avido di letture, leggevo a ritmi impressionanti. Leggere mi permetteva di immagazzinare un gran numero di parole al punto da accrescere sempre di più il mio sapere. Arrivai a scrivere delle lettere in gran segreto a mia madre, avevamo un mondo racchiuso, a parte, io e lei. Furono quelle lettere, infatti, a parlarle per me. A mia madre non era concesso di essere una donna con delle debolezze, proprio come al sottoscritto. Nelle lettere, come nei libri, potevamo essere ciò che volevamo, recarci in poche righe dall’altra parte del mondo, pensare a un luogo e fare in modo che si materializzasse, o imprimere un ricordo che rimanesse impresso sulla pagina bianca, grazie all’inchiostro. Non ero mai neppure stato con una ragazza, solo il pensiero mi terrorizzava. Trovai conforto in Eleanor, una fanciulla che vide in me molto più di quanto io stesso vedessi; iniziò tra noi un amore platonico, fatto di corrispondenze che inserivamo negli spartiti che ci passavamo da un lato all’altro del corridoio, ogni fine settimana. Ho ancora un fremito se ripenso a quanto tempo restavo in attesa del sabato e di quelle pagine fitte di note, contenenti la sua missiva.  Era un creatura delicata, fragile, e i suoi capelli erano così profumati… Potevamo essere folli, diversi, deboli e veri, in quelle lettere. Scrissi molte canzoni per lei al pianoforte, ma non ebbi mai il coraggio di cantargliele. Per cantare ci vuole anima e cuore, non è solo una questione di corde vocali. So che sarà in grado di comprendere quanto le sto dicendo. Quando mio padre morì, mia madre si chiuse per un lungo periodo nel silenzio. Interruppe i suoi concerti e rinunciò a numerosi ingaggi. Smise anche di scrivermi per la sofferenza che quella perdita le aveva procurato. La vidi piangere spesso, troppe volte, in preda alla depressione. Così da solo compresi che dovevo rinunciare alla mia felicità per starle accanto. Tale rinuncia comprendeva anche l’amore per la giovane Eleanor. Lasciai il conservatorio e non la rividi mai più; in compenso salvai mia madre. Fino a quando un giorno, un raggio di luce entrò nella sua vita. Quando lei e Gustavo si conobbero, egli aveva perso la moglie a causa di una dissenteria amebica ed era desideroso di innamorarsi, come non gli succedeva da molto. Provai a quel punto a ricontattare Eleanor. Trovai sue notizie presso la bacheca del conservatorio, avrebbe tenuto un concerto al Teatro Strehler di lì a poche settimane. Ero molto emozionato, erano trascorsi quasi sei anni dall’ultima volta che l’avevo vista. Mi ero preparato accuratamente sperando di riuscire a fare colpo su di lei. Fu un concerto memorabile, con una grande orchestra. E lei era divina. Al termine mi avvicinai, ma non fui il solo. Un uomo e due bambine giunsero prima di me… era la sua nuova famiglia. Mi sentii nervoso ed inopportuno, per aver osato sperare che lei ritornasse da me. Ricordo che mi guardò col vago sospetto di avermi già visto da qualche parte, ma non mi riconobbe. Fu terrificante non essere riconosciuto dalla donna che amavo e che avevo tenuto nel cuore, per tutto quel tempo. Da quel momento sono trascorsi in un lampo trent’anni. Gustavo è rimasto al mio fianco, più di quanto un padre fosse in grado di restare vicino al proprio figlio.>>

<<La sua storia ha un non so che di romantico e lontano.  Quindi Gustavo è suo padre? Non lo avrei mai detto…>>

<<Diciamo che è più di un padre. Vede, un padre concepisce un figlio che a volte non vedrà crescere. Lui è stato testimone della nostra vita, ha conosciuto quei lati di noi irrilevanti per gli altri, ma importanti perché scegliesse di amarci e diventasse il testimone di ciò che ci accadeva, rimanendo al nostro fianco, ogni singolo giorno. Lui è un Testimone, più che un padre, qualcosa che va oltre, mi capisce?>>

 

Dal nuovo libro dell’autrice Letizia Turrà

Image: Maria Callas ne “La traviata”

VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE DELL’OPERA.

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