Parcheggiai l’auto proprio da dove potevo chiaramente avere la veduta del labirinto. Mi soffermai per un attimo su quella visione.
Quanto era diverso rivederlo ora, rispetto a quando lo avevo vissuto da bimba, affacciata alla finestra o giocandovi al suo interno.
All’epoca non riuscivo a coglierne la bellezza. Ora mi era invece possibile scorgere il contorno di ogni petalo di edera bagnato dal sole pomeridiano e riuscivo ad apprezzare le orchidee nel loro pieno splendore.
Finita quell’emozione, avrei dovuto affrontarne un’altra, quella di suonare al campanello.Ebbi un tuffo al cuore quando vidi che il cognome riportato sul citofono era quello di nonno Nestor.
Che stupida – pensai subito dopo – era ovvio che ci fosse quel cognome, era anche quello di mio padre!Era come se avessi cancellato di colpo anche quel dato dalla memoria.
Ad ogni modo, premetti forte il tasto del campanello. Sentii i passi frenetici e nervosi di una donna provenire dal corridoio in direzione dell’ingresso.
Quegli istanti mi sembrarono durare molto più di quanto sarei stata disposta a rimanere lì in attesa che qualcuno mi aprisse.
Sperai fortemente che non fossero i passi di mia madre, perché non avrei voluto rincontrarla a quel modo, ma quella donna che mi aprì la porta, e cioè la prima persona a darmi il benvenuto nella mia casa d’infanzia, fu proprio lei.
Rimase sorpresa nel vedermi quasi al punto che strizzò gli occhi per essere certa che non fossi una visione.
-“Ciao mamma.”, le dissi gelida.
Quando la vidi in quelle condizioni, completamente ritoccata in ogni parte del volto, in vestaglia e con i capelli che sembrava uno spaventapasseri mi resi conto che se non fossi rimasta così gelida probabilmente sarei scappata per il senso di impotenza e di sofferenza che mi procurava il fatto di vederla ridotta in quello stato.
Era mia madre e la amavo, ma non riuscivo a capacitarmi di come la ragazza colta e dai bellissimi capelli vermiglio sembrasse ora la sua caricatura e avesse perso quello splendore di un tempo, e soprattutto perché fosse successo.
-“Laura, non ti aspettavo tanto presto!”
Rimasi immobile di fronte a quella che avrebbe dovuto suonare come una battuta sarcastica, ma che non gradii affatto.
-“Sì, giusto sei anni, posso entrare?”, dissi in modo altrettanto sarcastico.
Poi proseguii: “Giusto il tempo di capire cosa volevo dalla vita. Io a differenza di altri ho lavorato su me stessa per capirlo. E sono sopravvissuta ad una malattia terribile che ha logorato ogni mio giorno, ogni mio legamento, ogni filo di cotone del pigiama che indossavo, ogni arteria che mi scorre dentro. E sono guarita, finalmente.”
“Il labirinto di orchidee, niente è come sembra” di Letizia Turrà
Image: Me with my book