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Lo guardavo con il magone in gola, la mano destra ferma a serrare la bocca e lo sguardo fisso sul suo colletto, neppure diretto a lui, ma alla mia mano tremante che stringeva quel foglio.

Non sapevo se sentirmi nuovamente delusa o sollevata.

Delusa perché ancora una volta Cesare mi lasciava sola, e sollevata perché ora da sana potevo affrontare l’ennesima disfatta con maggiori energie senza permettere che eventi di questo genere mi distruggessero come un tempo.

Viaggiavo sul treno della coscienza, di cui potevo avvertire solo lo sferragliare delle giunture, pigre e arrugginite.

Quei treni possiedono quel fascino, anche quando non sai quanto ci vuole per arrivare a destinazione, sempre che vi sia una destinazione.

E se non c’è che importava, pensavo a quel punto, dato che nessuno mi aveva imposto di salirci. Nessuno ti impone di affrontare un doveroso viaggio.

Tutto avrà senso poi, quando anche il senso perderà il sapore del senso.

Era con questo animo che affrontavo l’abbandono dell’uomo che amavo e che stavo quasi per illudermi sarebbe stato il padre dei miei figli e il testimone di una vita al mio fianco.Tutte fandonie.

Non c’era una dannata ragione per la quale sarebbe dovuto andare tutto secondo i miei piani.

Presi coscienza che l’aver tagliato ogni comunicazione con la mia famiglia e con le uniche persone rimaste tra i miei affetti, non era stata una saggia decisione.

Avevo agito di impulso convinta che Cesare non mi avrebbe mai più abbandonata.Nel mio intimo arrivai anche a pensare che avrei potuto tranquillamente vivere senza di lui, al di fuori del nostro rapporto.

Non dipendevo da lui, quindi forse amavo più me stessa di quanto non amassi lui.Ora che non potevo contare su nessuno quale peso avrebbero comportato le mie scelte sul mio futuro?

Forse dovevo semplicemente abbandonare i dubbi e lasciare che il treno mi portasse a destinazione senza pensare alle conseguenze che prima o dopo avrei riscosso.

Cesare mi aveva insegnato cosa volesse dire amare nella semplicità smettendo di ricercare tutte quelle cose difficili con cui talvolta, pur sapendo che soffriremo, ci interfacciamo quasi come se volessimo sfidare la vita e la sua tenacia.

La malattia mi aiutò invece a capire che l’unico traguardo che realmente ti interessi raggiungere nel momento in cui sei dentro al vortice è quello di guarire, tutto il resto non diventa che un corollario del quale in realtà se hai la salute puoi fare anche a meno.

Mi alzai dal tavolino del bar con sguardo fiero.

-“Buona fortuna Cesare, non posso che dirti questo. E’ giunta l’ora che io pensi a me stessa.”Si appoggiò allo schienale della sedia allargando le braccia.

-“E’ tutto ciò che hai da dire??”

-“No, in realtà vorrei anche dirti di andare a farti fottere, ma conoscendomi sapresti che non era questo quello che volevo dirti. E’ solo giusto che tu lo sappia, ma non sono le ultime parole che vorrei ti pervenissero per mio conto.”

“Il labirinto di orchidee” di Letizia Turrà

Photo: Google

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