Apro la scatola di pastelli di cera.
Il suono è diverso dagli altri: è rigida, l’odore che ne fuoriesce è inconfondibilmente vicino al legno puro, i colori sono vivaci, si intuisce che si tratti di pastelli artigianali.
Li prendo uno ad uno e li sfioro con le dita: sono ruvidi, lunghi, e con l’indice ne sento la punta zigrinata.
La mia mente subito viene riportata ai miei sei anni, al mio primo giorno di scuola.
Mia nonna mi faceva sempre il codino sulla fronte, a mo’ di unicorno, avevo il grembiule nero col colletto bianco, le calzette bianche e il vestitino bello perché lei ci teneva che fossi impeccabile.
Posso ancora con la mente rivedere la scuola nel primo giorno, grande, bianca e piena di bambini.
Sembravamo tutti uguali, eppure eravamo tutti diversi, non solo per la diversa etnia.
In quei primi giorni di inizio settembre il caldo torrido che ci distaccava dal mare ci scovava storditi, ma spigliati e curiosi per quella “nuova vita” che ci attendeva.
Avevamo uno zaino nuovo, un astuccio moderno con penne nuove e brillanti, nuovi compagni, aule pulite, gessi nuovi e lavagne ancora intatte, scure come la pece.
Era tutto bello in principio.
Poi col tempo, anche quella sensazione gioviale si tramutava in un’abitudine, perdendo così la bellezza iniziale.
Allora diventavi uno scolaro, pieno di compiti, e capivi che la vita era una gran rottura!
Sorrido nel rimpiangere quei momenti tanto preziosi, in cui ho desiderato ardentemente di diventare grande, quando avrei dovuto pretendere di rimanere come ero (sarebbe stata la cosa migliore).
Adesso vivo con un’altra ottica, quella di mamma, mentre preparo quei pastelli che sfioro con cura per la mia Gaia, che a settembre ha visto l’inizio del suo nuovo percorso di alunna.
Quegli stessi pastelli che mi hanno riportata indietro a quando anche io ho vissuto quelle emozioni, che ho mantenuto custodite nel cuore, salde come lucchetti arrugginiti, ormai impossibili da violare.
Non ho mai smesso di pormi domande su quanto studiavo, e ho chiesto a mia figlia di fare lo stesso. Voglio che mantenga il suo spirito fanciullesco ma allo stesso tempo si chieda sempre se esista una verità oltre quella che vede in apparenza.
Una volta chiusa la scatola sono tornata alla normalità, ho realizzato che quei momenti non torneranno più indietro.
Almeno, non in questa vita che ho già vissuto per un terzo.
Non posso che riflettere sulla bellezza che ha il suono della voce delle mie figlie che si trovano fuori a giocare, e che sono ignare che si cresce e che la vita ti riempie di responsabilità, dalle quali non sempre puoi scappare.
Io stessa mi sono voltata e di quei giorni non è rimasta traccia, se non il ricordo della mia memoria cinestetica e il profumo nell’aria di mia madre e di mia nonna, che non sono più al mio fianco.
Letizia T.
Photo: Autentic Crayons from my private archive
Un post lirico totalmente in linea con le mie corde oggi… ah e quanto amavo i pastelli! Però ne compravo un pacchetto da sei ogni due anni, altro che mia figlia che ne ha a decine!
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