Michael Jackson, storia di un eterno bambino…

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Before you judge me, try hard to love me…

L’eterno bambino. La star più caritatevole del pianeta con donazioni pari a circa 400 milioni di dollari elargiti per scopi benefici e umanitari.

Ripesco dal mio archivio privato un “Rare Video”, che tengo custodito da quando sono diventata una sua fan.

È il 1993 e Michael Jackson, star multimilionaria, scarta alcuni pacchetti regalo nel giorno di Natale in un video girato da alcuni amici nella sua Residenza di Neverland.

È così che ha chiamato il suo regno l’eterno bambino, ispirandosi proprio alla fiaba di Peter Pan, figura da lui amata.

Ed eccolo nuovamente in pigiama, spettinato, che legge una favola a Paris e Prince sul suo divano di velluto rosso.

Non è mai stato bambino, Michael, per volere di suo padre Joseph è stato costretto a esibirsi dall’età di 5 anni insieme ai fratelli Tito, Marlon, Jackie e Jermaine; da lì la sua corsa non si è mai arrestata.

Michael ha l’aspetto di un nano, un piccolo James Brown in miniatura dotato di una grinta non comune e una voce davvero angelica.

Sarà la madre Katherine ad accorgersi di quella voce udendolo cantare in solitaria, un giorno, in casa.

Un bambino nato per ballare, cantare, recitare ed esibirsi davanti a un pubblico, con cui manterrà un rapporto d’amore e di fiducia fino alla fine.

Costretto a fare tutto ciò che un adulto farebbe in piena coscienza, mentre Michael lo vive come un sacrificio, una privazione che lo allontana da una normale infanzia fatta di giochi con il pallone, che a lui sono categoricamente vietati da Joseph.

Brucia interiormente quel dolore, bruciano le vergate che il giovane Michael e i suoi fratelli ricevono dal padre perché protestano contro le infinite ore passate in studio a registrare e a provare.

Erano un prodotto i Jackson 5, e un prodotto va educato, guidato e sottoposto al profondo sacrificio col sangue, perché possa vedere compiersi la realizzazione del suo successo.

Così quel ragazzino nato a Gary, in Indiana il 29 agosto 1958, rappresenta la gallinella dalle uova d’oro, l’opportunità di successo anche per i suoi fratelli, sicuramente meno dotati di lui vocalmente e scenograficamente.

Ben presto quel successo scala le vette di ogni classifica, i loro singoli scalzano dal podio i temuti e rispettati Fab Four (i Beatles) che se l’erano aggiudicato per “Let it be”, scritta da Paul Mc Cartney.

Il 1978 è l’anno della svolta per Michael, col debutto da solista di “Off the Wall” prodotto da Quincy Jones, che Michael conosce durante le riprese del rifacimento de “Il mago di Oz”, in cui recita al fianco di Diana Ross, star musicale alla quale rimarrà sempre legato.

L’album non ottiene il successo sperato ma permette al pubblico di conoscere Michael nelle vesti di solista, al di là dei Jackson 5.

È nel 1982, anno di uscita di “Thriller”, che viene consacrato come il “Re del pop”, rimasto in assoluto l’album più venduto di tutti i tempi nella storia della musica, con 110 milioni di copie vendute.

Nessuno immagina quanto grande possa essere il successo di Michael neppure la sera in cui, per i festeggiamenti del 25° anno di vita dell’etichetta Motown, si esibisce in “I’ll be there” con i suoi fratelli. Michael li abbraccia tutti, è un abbraccio simbolico, che servirà a dire chiaramente addio al progetto “band”.

Infine si volta, indossa una giacca nera e un abito colmo di paillettes scintillanti, un guanto bianco e un cappello nero.

È il 25 marzo del 1983, di lì a poco il mondo conoscerà “Billie Jean”. Il pubblico rimane col fiato sospeso, mentre Michael indietreggia facendo conoscere il MOONWALK, una tecnica di ballo imparata osservando i neri di quartiere che ballavano in strada, poi da lui perfezionata per essere esposta agli occhi del mondo.

Michael lancia mode, costumi, balli free stile; è testimonial di moto, bevande, tempo libero, e tutte le aziende lo bramano per la sua immagine vincente.

Nessuno può arrestare la sua corsa.

Nessuno, tranne una multinazionale, un colosso del mercato come Pepsi Cola, di cui Michael è il testimonial nel 1989. Michael e i fratelli stanno girando uno spot per la nota marca, in cui simulano un’esibizione in concerto.

Accade tutto velocemente: a causa di un problema accidentale con gli effetti pirotecnici, i capelli di Michael prendono fuoco. Il cantante non se ne accorgerà subito, se non quando gli strati di pelle verranno bruciati quasi fino ad arrivare al cranio.

Il dolore è indescrivibile, la corsa folle in ospedale per salvargli la vita e diversi i trapianti di cuoio capelluto tentano di rimediare al danno.

Il risarcimento, che ammonta a circa 1.5 milioni di dollari, sarà interamente devoluto dallo stesso Michael in beneficenza all’ospedale “Brotman Medical Center”, che oggi riporta il nome di “Michael Jackson Burn Center”.

Un danno dal quale Michael non si riprenderà mai più. I farmaci e gli antidolorifici che è costretto a prendere lo renderanno dipendente per tutta la vita da quelle sostanze.

Di lui cominciano a circolare le voci più assurde e controverse: si sarebbe sbiancato la pelle per diventare bianco a ogni costo perché lui odia il fatto di essere nero, si sarebbe sottoposto a 13 operazioni di rinoplastica, dormirebbe in una camera iperbarica per non invecchiare, nel suo ranch inviterebbe bambini allo scopo di abusarne, e molto altro.

Tutte fandonie che gli costano in termini economici (Pepsi scioglie il contratto con la Star), e in termini morali ingenti somme.

Michael scrive a quel punto “Childwood”, in cui chiede al suo amato pubblico di amarlo davvero, prima di giudicarlo come uno stupratore di bambini.

Aprirà il suo cuore e le porte del suo Ranch per 8 mesi a Martin Bashir, un giornalista senza scrupoli che userà il materiale girato contro di lui, cercando di vessare costantemente per ogni confidenza privata che Michael gli farà, la comunicazione sul messaggio che in quel personaggio vi sia qualcosa che non va.

Ciò non farà che compromettere ulteriormente l’immagine del cantante.

Michael si dimostra debole, fragile, troppo ingenuo, è nel pieno di una causa giudiziaria per avere abusato di Jordy Chandler, un ragazzino che avrebbe accolto nella sua residenza allo scopo di curarlo dalle sue malattie, pagando interamente di tasca sua tutte le spese.

Bashir taglia il video nelle parti più importanti, tradendo la fiducia che Michael ha riposto in lui.

Quelle accuse che si dimostreranno in seguito palesemente false, costeranno oltre a cospicue somme di denaro alla star, anni di stress emotivo, nonché continua dipendenza dai farmaci per riuscire a dormire.

Abbandona Neverland ma non il suo pubblico, la sua arte e le sue attività benefiche della “Heal the world foundation”, che rappresentano il fulcro della sua vita.

Entra di diritto nel Guinness dei primati per l’album più venduto di tutti i tempi (Thriller), record tutt’oggi ineguagliabile.

Da molto tempo però Michael non si concede al suo pubblico con un Tour di rilevanza mondiale.

È il 5 marzo del 2009, quando sorridente MJ annuncia durante una conferenza stampa il suo ritorno sulle scene con una serie di concerti.

“This is the final curtain call”: “Queste saranno le mie ultime esibizioni”, afferma con disarmante certezza.

Sembra quasi trattarsi di una profezia. Il 25 giugno, esattamente tre mesi dopo, ha un malore dovuto a un’eccessiva dose di Demerol, un potente anestetico usato in sala operatoria, iniettatogli in una dose massiccia (5 volte superiore) dal suo medico Conrad Murray.

Muore così il Re del pop, alla vigilia dei suoi 51 anni, lasciandoci sgomenti e senza una reale forma di giustizia.

Un grido inascoltato il suo, una richiesta di aiuto dell’eterno bambino urlata a squarciagola fin da piccolo, mai compresa davvero.

Lui che aveva sempre donato, che insegnava ai suoi collaboratori che per far bene le cose bisogna farle con AMORE. “Do with Love, with L-O-V-E-“, gli diceva facendo anche lo spelling perché fosse a tutti più chiaro.

L’amore che lo ha spinto avanti per tutta la sua vita, senza fare in modo che si stancasse mai di donare al prossimo ogni briciolo di sé.

45 anni di musica non si possono descrivere brevemente in un articolo.

Desidero che molto dell’amore che Michael mi ha donato con la sua musica e la sua essenza in qualche modo ritorni a lui, dovunque egli si trovi adesso.

Molte leggende internettiane lo vogliono ancora vivo, dicono che la sua morte sia stata solo inscenata per chissà quale assurdo motivo.

È ovvio che dietro tali teorie si cela la voglia di non riconoscere la morte di una persona tanto importante, speciale e al tempo stesso tanto amata.

Una cosa che Michael diceva risuonerà sempre nella mia mente:

“La conoscenza non è fatta solo di biblioteche piene di carta e inchiostro, è anche fatta dai volumi di conoscenza che sono scritti nel cuore degli uomini, modellati sull’animo umano e incisi nella psiche di tutti noi.”

Addio amico caro. Addio.

Letizia T.

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