Osservò il soffitto con il grande specchio.
<<Da molto non sentivo queste parole, non so ancora se mi sento pronta per una relazione fissa con un uomo.>>
<<Ti lascerò tempo per pensare, non voglio tu prenda decisioni affrettate, preferisco tu ti senta pronta a liberarti dai tuoi demoni prima.>>
<<Lo sai, nessuno li aveva mai chiamati così prima d’ora. Solo…>>
<<Forse solo John? Si vede che io e lui non siamo poi così diversi. Anche io mi nascondo dietro ai miei capelli, sotto quel Borsalino. Tutti noi abbiamo dei demoni che ci rendono ricchi e poveri, allo stesso tempo.
Dobbiamo solo scegliere di far diventare trampolino ciò che ci appare come uno scoglio.>>
<<Mi piace la tua camera, ha dei colori così neutri, nulla prende una posizione netta qui. E’ proprio il luogo adatto per farti stare bene.>>
<<Sono molto selettivo, poche donne sono arrivate a vedere questa casa. Non faccio vita mondana, non organizzo feste né tantomeno mi intrattengo con chiunque.>>
<<Non assomiglia affatto alla camera dove dormivo io a sei anni. Quando ero piccola mia madre mise uno scheletro di gomma nella stanza. Non potevamo permetterci una camera tutta per me così, nelle notti in cui lei vedeva altri uomini, io dormivo sul divano letto in sala da pranzo. Era duro e gelido. Non so chi avesse pensato di regalarle quello scheletro. Ricordo solo che ne fui terrorizzata dal primo istante. Mi alzavo spesso la notte, svegliata di soprassalto dai rumori provenienti dalla stanza di mia madre. Così mi recavo fino alla sua porta e dal buco della serratura mi mettevo a spiarla mentre faceva sesso, guardando tutto dall’inizio fino alla fine, con le budella che sentivo contorcersi per la paura di essere sorpresa e il terribile fastidio che mi arrecava vedere mia madre avvinghiata ad uno sconosciuto a fare qualcosa per me di misterioso. Imparai molto presto come nascono i bambini, e anche cosa era la masturbazione. Quando l’amplesso terminava, mi rimettevo subito nel letto perché nessuno si accorgesse di me e i miei occhi ritornavano subito lì, a quella parete con lo scheletro. Mamma mi diceva che era solo un giocattolo, e che i miei tormenti erano riconducibili all’abbandono che mio padre ci aveva inflitto. Così spesso mi rifugiavo nell’unico luogo in grado di donarmi pace: il campo santo.
Mi piace il silenzio che si respira all’interno dei cimiteri. I pini scossi dal vento nei mesi invernali sembrano quasi voler parlare ai passanti.
Ti ricordano che un giorno faranno da ombra alla tua di tomba.
Avevo una brutta abitudine: prelevavo statuette, candele e ogni genere di oggetto dalle lapidi che i parenti avevano lasciato lì in segno di ricordo per il loro defunto. Andai avanti per parecchio tempo, fino a quando un pomeriggio rubai la statuetta di S. Michele Arcangelo dalla tomba di un vecchio signore, un certo Alfred. Iniziai ad avere terribili incubi la notte con dolori lancinanti allo stomaco. Capii che i morti reclamavano i loro oggetti, avevo preso qualcosa che gli apparteneva e per tale motivo, erano venuti a disturbare il mio sonno. Così io e mia madre riportammo subito il cimelio laddove lo avevo preso e il vecchio Alfred non venne più a tormentarmi. Imparai una grande lezione: non si rubano i ricordi delle persone, morte o vive possano essere.>>
<<Ciascuno di noi deve convivere con i propri incubi Patricia. A volte dobbiamo pagare per gli errori di altri, in altre circostanze, per quelli compiuti proprio da noi stessi. Certe cose le avresti superate velocemente, se solo avessi imparato a perdonare, a lasciare andare.>>
LETIZIA TURRA’ “Il posto più bello del mondo è da nessuna parte”, maggio 2016, Edizioni Narcissus
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