
Quando lo vidi lì, fermo sui gradini gelidi di quella che sarebbe dovuta essere la nostra casa, compresi subito che era stato uno sbaglio trattenere tutto quell’amore così come si vorrebbe trattenere il pianto in un palmo di mano.
Avevamo arrestato gli anni, il tempo, le stagioni sulle nostra ossa erano progredite come i rami di un albero, continuando a produrre foglie che ora pian piano cedevano il passo alla strada che avevamo percorso lontani, impassibili.
Mi fu chiaro che lo avevo sempre amato, e che lo avrei aspettato sempre, anche se questo si sarebbe tradotto nell’invecchiare precocemente di solitudine.
Nessun suono accompagnò i miei passi, tranne le sue mani tese in direzione della mia giacca.
La tirò a sé, la strinse creando delle pieghe languide; mi tirò con la prepotenza di chi desidera accorciare le distanze; non potevamo annullare la sua presenza, quella della distanza; potevamo solo avvicinarci per accondiscendere il dolore.
Solo quando mi baciò la mia sete si placò; fummo pelle, saliva, labbra, sangue dello stesso sangue, brividi coscienti. Eravamo nostalgia, braccia che si congiungevano.
Come può consumare le membra l’amore quando è incompiuto, quando l’unico fuoco che conosci è proprio quello a cui non puoi permettere di bruciarti.
Letizia Turrà
L’ha ripubblicato su Alessandria today @ Web Media. Pier Carlo Lava.
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