Fissa la tua attenzione su te stessa.

Fissa la tua attenzione su te stessa.

Sii cosciente in ogni istante di ciò che pensi, senti, desideri e fai.

Finisci sempre quello che hai iniziato.

Fai quello che stai facendo nel migliore dei modi possibili.

Non t’incatenare a niente che alla lunga ti distrugga.

Sviluppa la tua generosità senza testimoni.

Tratta ogni persona come se fosse un parente stretto.

Metti in ordine quello che hai disordinato.

Impara a ricevere, ringrazia per ogni dono.

Smetti di autodefinirti.

Non mentire né rubare, se lo fai, menti e rubi a te stessa.

Aiuta il tuo prossimo senza renderlo dipendente.

Non occupare troppo spazio.

Non fare rumore né gesti inutili.

Se non la possiedi, imita la fede.

Non lasciarti impressionare da personalità forti.

Non impossessarti di niente né di nessuno.

Distribuisci con equità.

Non sedurre.

Mangia e dormi lo stretto necessario.

Non parlare dei tuoi problemi personali.

Non giudicare né discriminare quando non conosci la maggior parte dei fatti.

Non stabilire amicizie inutili.

Sii puntuale.

Non invidiare i beni o gli esiti del prossimo.

Parla solo di ciò che è necessario.

Non pensare ai benefici che ti procurerà la tua opera.

Realizza le tue promesse.

Georges Gurdjieff, lettera alla figlia Reyna d’Assia

Pensiero del giorno #1104

Ogni volta che ho il desiderio di partire per una vacanza, mi rammarica pensare di lasciare il mio orto incustodito, così non parto e questo non mi rende triste, né meno felice di chi si mette in viaggio.

La mia è stata una scelta attuata con coscienza, non invidio il viaggio di nessun altro e coltivo il mio orto perché so che mi darà buoni frutti.

Dovremmo applicare questo sano principio per tutto.

Allora smetteremmo di attendere che arrivi un evento esterno a cambiarci la vita; ciò che desideriamo davvero è già alla portata della nostra mano.

Letizia Turrà

Fa che la tua anima diventi un Giardino

Fa in modo che il tuo animo sia come un giardino.

Non un contenitore in cui inserire cose materiali, bensì un pezzo di terra, pronto per essere seminato.

Se tutti pensassimo alla vita come un Giardino, non servirebbe grandine né vento, per impedirci di credere che quello sia il più bel giardino fra tutti quelli conosciuti.

Letizia Turrà

A cosa serve la guerra? La guerra serve per vincere la gara dell’inutilità.

A cosa serve una guerra? A nulla, forse. 

O forse a renderci conto di quanto effimero sia ogni nostro respiro.

La quiete viene improvvisamente interrotta da un suono di vendetta, tutto ciò che hai messo da parte viene sepolto sotto le macerie, di improvviso anche la tua casa diventa una prigione. Mille pensieri intercorrono nella tua mente a una velocità che non ti aspettavi, guardi i tuoi figli, poi la tua consorte. Avete poco tempo per pensare.

Il vero conflitto ora è dentro di te. Diseredato dalla tua stessa esistenza, ti accingi a raccogliere quel poco che ti resta per dirigerti lontano, o dovunque, o in luogo sicuro, o sotto terra, o chissà dove altro il destino vi starà portando.

A qualcuno a pochi passi da te è stato tolto tutto, persino il respiro. E tu non comprendi ancora perché tutto questo sia successo, non hai avuto la possibilità di chiamare nessuno, non sai neppure se i tuoi parenti siano vivi, e loro altrettanto.

Le sirene spiegate ti mettono in allarme. È il momento di fuggire via, devi pensare a mettere in salvo ciò che ti resta.

Esisterà un porto sicuro dove andare? Ci sarà un posto nel mondo che potrà accorglierti? Il sole sembra oscurarsi dissolto in nubi di fumo e vapore. 

“La cattiveria è parte del mondo” – ti sarai spesso sentito dire. Tuttavia non hai mai creduto che quello potesse tramutarsi in realtà.

Alzi gli occhi al cielo, ma non vedi niente: né un Dio nel quale credere che giungerà a salvarti, né aerei carichi di turisti; neppure le nuvole ti saranno di aiuto per orientarti. 

Sei in coda adesso, insieme a migliaia di persone, uno sterminato gregge di cappelli di lana e cappotti pesanti per via delle temperature rigide.

Guardi gli occhi dei tuoi figli: sono scurissimi, spaventati, irritati per essere stati svegliati nel cuore del loro sonno fanciullesco. Un cappotto polveroso li tiene avviluppati come un paio di grandi braccia, i loro capelli hanno ancora la fuliggine che ricopre ogni centimetro di pelle.

​Da altre parti, nel mondo, staranno parlando di quelli come voi ammassati alla stazione dei treni. L’esodo che stai vivendo è qualcosa che loro non possono ancora comprendere, tant’è lontano.

Affronterai un lungo viaggio stipato nell’angolo freddo ​di un vagone, e il passaggio da una natura all’altra ti sembrerà qualcosa di mai visto prima.

Stringerai più forte le mani di chi ami perché ora, solo ora, sai quanto siano importanti quei gesti di uso quotidiano che ti sono sempre sembrati banali.

Ripenserai agli errori che hai fatto, alle scappatelle che ti sei concesso per evadere dalla realtà, agli amici che forse non vedrai più, a quell’ultima birra in compagnia del tuo collega.

Da ora in avanti la tua realtà cambierà. 

Nonostante tutto un senso di quiete pervade il tuo animo, un acuto profumo invade le tue narici: è la consapevolezza di ciò che è avvenuto, sfuggendo al tuo controllo. Proprio così, non puoi dominarlo né puoi incasellarlo; sfugge ad ogni percezione, scappa fuori dal recinto in cui avevi posto tutto ciò che ti riguardava.

Forse la guerra serve, in qualche modo, anche a quelli piccoli piccoli come te. Serve per farti comprendere che ciò che possediamo è già di per sé una grande, enorme ricchezza. 

Ti invita a sapere che ci sono cose che non potranno mai e poi mai essere cambiate. Ti costringe ad accettare che un conflitto debba sempre esistere, per reimpostare qualcosa di nuovo.

Quanto dolore per giungere a tutto questo e quante peripezie l’essere umano deve affrontare. Quanta solitudine, anche.

Ora, forse, sei al sicuro. 

Per prima cosa raggiungi il telefono, chiamerai tua madre; è sola da anni in casa, e non può spostarsi perché è ormai troppo vecchia.

Lei ha scelto di restare lì, tra quelle mura che le sembrano più sicure del mondo che sta là fuori. “Resto qui Oleksandr, nella casa dove sei cresciuto” – dice con una punta di consolazione – e una lunga lacrima ti solca il viso.

Forse non la rivedrai più, ma nel frattempo sorridi di gioia nel sentire la sua voce intatta. 

La guerra non serve a nulla, e sarebbe bello se tutto il mondo fosse in pace.

Ma per essere in pace, bisogna desiderare ardentemente di trovare la pace. 

Ora dormi dopo giorni di travagliata inquietudine e di fame e per la prima volta, lo fai insieme ai tuoi bambini. Dormi e speri che domani sia migliore, che venga un accordo a risanare un mondo spezzato, che le nubi si dissolvano di colpo, che tu riesca a sentire di nuovo la voce lontana di tua madre, ancora intatta. 

Letizia Turrà 

In Ascolto: Edoardo Bennato – “A cosa serve la guerra”

Immagini https://www.blind-magazine.com/fr/stories/la-route-de-lexil-dans-les-yeux-des-refugies-ukrainiens/

Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri

Museo archeologico delle incisioni rupestri di Capo di Ponte

Il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri fu istituito nel 1955, primo parco archeologico italiano, per la tutela e la valorizzazione di uno dei più importanti complessi di rocce con incisioni preistoriche e protostoriche della Valle Camonica. Si estende su una superficie di 143.935 mq in Località Naquane, sul versante idrografico sinistro della Valle Camonica, tra i 400 e i 600 m/slm.

Al suo interno accoglie 104 rocce, in arenaria levigata dai ghiacciai, incise con alcune delle raffigurazioni più note del repertorio d’arte rupestre della Valle Camonica, riconosciuto dall’UNESCO nel 1979 patrimonio mondiale dell’umanità (sito n. 94 “Arte Rupestre della Valle Camonica”, primo sito italiano iscritto) per l’unicità del fenomeno e per l’importanza del contributo scientifico che lo studio delle incisioni ha apportato alla conoscenza della preistoria dell’Uomo. L’arte rupestre si sviluppò in Valle Camonica tra la fine del Paleolitico Superiore (tra 13.000 e 10.000 anni da oggi) e l’età del Ferro (I millennio a.C.), epoca di particolare fioritura del fenomeno, che perdurò, tuttavia, anche in età storica, romana, medievale e moderna.

Il Parco è stato istituito con il fine di tutelare, conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio d’arte rupestre. Inoltre, come luogo della cultura, secondo la definizione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n.42, art. 101, c. 2, e: “parco archeologico”, un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto), è destinato alla pubblica fruizione ed espleta un servizio pubblico (art. 101, c. 3). Oltre al vincolo archeologico, esiste anche un vincolo paesaggistico, istituito con Decreto Ministeriale del 14.04.1967.

Il Parco è di proprietà statale ed è gestito dal 2018 dal Polo Museale della Lombardia, organo periferico del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, che a seguito del DPCM n. 169 del 2 dicembre 2019, è stato denominato Direzione regionale Musei della Lombardia.

Il parco riporta incisioni che partono da 12 mila anni fa. Le culture che qui si sono susseguite hanno inciso su queste meravigliose pietre di arenaria i momenti di vita quotidiana ritraenti la caccia, le offerte agli Dei, la battaglia, le processioni e la costruzioni di ruote e carri.

http://www.parcoincisioni.capodiponte.beniculturali.it/

Rosa camuna
Angelica e l’unica Rosa Camuna visibile a cielo aperto che siamo riusciti a trovare (tutte le altre si trovano nei musei per questioni di sicurezza, ci hanno spiegato).

Siamo stati a Tokyo! Le botteghe di Tokyo – Milano

Andare a Tokyo in giornata, e poi la sera tornare nelle vostre amate case?

Sembra impossibile ma in realtà è quello che è accaduto a noi ieri!

A Milano nel favoloso Spazio Tenoha (Via Vigevano, 18) è stata da pochi giorni inaugurata la mostra “Botteghe di Tokyo Exhibition”, una passeggiata tra i vicoli della città dai due volti: quello diurno, nel quale la vita lavorativa piena di fardelli e preoccupazioni occupa gran parte dell’esistenza del popolo giapponese e quello notturno, in cui Tokyo disvela la sua parte proibita e le solitudini si mescolano tra loro fino alle prime luci del mattino.

La mostra, visitabile fino al 27.03.2022 è gratuita, e ospita al suo interno le illustrazioni ispirate dall’arte di Mateusz Urbanowicz, illustratore polacco che ha fissato il suo studio proprio a Tokyo, una città che ha amato al punto da dipingere le sue botteghe storiche e antiche che sono il fulcro di questa esperienza nel quale lo spettatore verrà immerso. Vi basti pensare che prima di entrare troverete una hostess che vi condurrà all’ingresso dell’aereo e in pochi minuti sarete nell’aeroporto di Tokyo; pochi passi ancora…ed eccovi a Tokyo!

L’ospitalità e la dedizione verso il cliente sono alla base della cultura orientale, che in Giappone viene definita “Omotenashi“.

Una tappa obbligatoria sono i ristoranti che lo spazio offre con ricche proposte giapponesi, e piatti tipici (abbiamo optato per il pollo fritto in una tempura leggerissima e un Chirashi – un piatto a base di riso, verdure e pesce crudo freschissimo); per gli amanti del Ramen c’è anche un ristorantino più piccolo accanto all’ingresso che prepara questa deliziosa specialità.

Inoltre potrete acquistare dei prodotti alimentari e anche oggettistica nel Tenoha Shop (prezzi altini, ma vale la pena dare un’occhiata)!

Vi consiglio di fare una visita qui se passate per Milano, o se già come noi ci vivete.

Buon viaggio!


東京でお会いしましょう!
Tōkyō de o ai shimashou!

Letizia Turrà

Credits foto: Letizia Turrà (Gennaio 2022)

Dalla bottega di biscotti, alla sartoria storica, al negozio di vini e alcolici Nakajima Saketen situato nel quartiere di Mejiro-dai dal 1936.
La bottega spicca nettamente per il moderno frontone e per il colore rosa pesca. Come molti negozi anche qui troviamo la tettoia di plastica che molti negozi usano per proteggere i balconi e i parcheggi, creando un effetto visivo colorato.


C’è anche Fellows, un rinomato ristorante di Hamburger a Omote-sando davanti a cui c’è sempre una lunga fila di clienti. Aperto nel 2011, è ospitato in un edificio dell’architettura risalente agli anni ’80. All’esterno dell’edificio si trova un vecchio frigorifero su cui sono posati molti vasi e piante.
Negozio di fiori giapponese

Pensiero del giorno #1301


I rapporti umani sono così dannatamente imperfetti e sopravvalutati.
In ogni momento ci preoccupiamo di fare il bene di qualcun altro, e poche volte il nostro.
“Mi starò aprendo troppo?”
“Soffrirò se mi dono più del dovuto?”
“Starà con me ma penserà ancora a qualcun altro?”
“Mi amerà nonostante i miei chili di troppo, o i miei difetti? “
Non facciamo che porci le stesse domande.
Cambiamo in direzione degli altri, pretendendo che ci completino, e poi ritorniamo ad essere gli stessi di prima, con i medesimi dilemmi, al termine delle delusioni.
Credo che dovremmo contare sugli altri il meno possibile.
Stare al fianco di qualcuno, è di gran lunga meglio che dipendere da quest’ultimo.

Letizia Turrà

Il cimitero di Staglieno, tra leggende e misteri.

Il cimitero di Staglieno deve la sua fama non solo ai vari poeti, scrittori, filosofi (tra i molti Mark Twain, Ernest Hemingway, Friedrich Nietzsche, Guy de Maupassant) che ivi si sono avvicendati parlando di questo luogo misterioso e meraviglioso e alle celebrità qui sepolte (le più note Giuseppe Mazzini, Fabrizio De Andrè, Nino Bixio, Mary Costance Lloyd – moglie di Oscar Wilde e molti altri).

Il cimitero di Staglieno inaugurato il 1° gennaio 1851, si erge su una vastissima superficie di 30 ettari (un’area di 330.000 m2) ed è un esempio di architettura e scultura funebre unico in Europa.

Statua raffigurante “Il tempo”

Molte sono le storie e le leggende qui racchiuse, visibili nei volti di personaggi enigmatici e “congelati” nel tempo da preziosi marmi di un bianco candido, ormai divenuto cinereo per via dello smog e l’incuria che queste preziose opere hanno subito nel corso dei decenni.

D’altronde occuparsi di queste statue è un compito arduo e costoso, e in molti casi gli eredi dei sepolti si sono ormai estinti da tempo.

È un vero peccato, ma una visita qui è assolutamente raccomandata non solo per gli amanti dei cimiteri come la sottoscritta, ma anche per scrittori, poeti, scultori, disegnatori che qui potranno trovare uno stimolo per le loro forme d’arte.

Nei 7 km percorsi ho potuto ammirare simboli, materiali di pregio, figure misteriose, dediche poetiche che straziano il cuore e racconti di vita collegati a quei personaggi, come nel caso della “venditrice di noccioline”, al tempo Caterina Campodonico, una donna vigorosa e fin troppo indipendente per l’epoca (parliamo del 1881).

Vi basti pensare che fece realizzare la sua statua da uno degli scultori più famosi dell’epoca, Giovanbattista Vigo, al quale commissionò il lavoro per una cifra astronomica, mai quantificata. Proprio lei, che era analfabeta e una venditrice di noccioline e canestrelli.

Sebbene fortunata perché sarà ricordata per l’eternità grazie alla statua che da decenni è la più visitata e sorprendentemente reale e definita del cimitero di Staglieno, non si può dire lo stesso per i sentimenti: fu sposa di Giovanni Carpi, un fannullone e ardente bevitore che la malmenava. Caterina pagò letteralmente la sua libertà, consegnando all’uomo 3000 franchi affinché la lasciasse libera di proseguire la sua vita senza di lui.

A quel tempo l’avvenimento destò scandalo tra parenti, e sgomento fra i compaesani. Come poteva una donna da sola, senza la protezione di un marito, cavarsela e riuscire a creare un impero economico di tale portata (dai nipoti era definita “a lalla ricca” – la zia ricca).

Quando ebbe problemi di salute, gli stessi parenti anziché accudirla litigarono per la sua eredità. Ma Caterina, fortunatamente, non morì in quella circostanza. Fu così che nacque la statua che oggi si trova nel Porticato Inferiore a Ponente commissionata dalla stessa al famoso Vigo. Si resta impressionati dalla veridicità di questa figura marmorea, non intaccata né dalla polvere né dal tempo, che pone il suo sguardo severo sul visitatore. Sembra quasi che sia lì a ricordarci che fermezza e determinazione uniti ad una grande forza di volontà fanno sì che ogni problema e pregiudizio del mondo vengano spazzati via.

E di pregiudizi Caterina dovette subirne molti, la sua tomba è infatti posta poco al di fuori delle più ricche e sontuose che si trovano all’ingresso nell’area principale; fu quasi uno sfregio per chi possedeva il titolo nobiliare dover tollerare che il suo spazio fosse condiviso con una venditrice di noccioline, umile e anche troppo indipendente (ricordiamo che all’epoca una donna che sceglieva di vivere senza la protezione e il sostentamento economico del proprio marito rappresentava uno scandalo inammissibile). Sul suo conto aleggiano ancora pettegolezzi che alcuni considerano leggende: pare che Caterina avesse ereditato quel gruzzolo da attività illegali, quali l’usura.

Ma questa è un’altra storia.

Qui non giace solo la ormai famigerata Caterina.

Nella sezione del cimitero inglese, infatti, troviamo anche la moglie (e madre dei due figli) di Oscar Wilde, Mary Costance Lloyd, morta a soli 39 anni per un’occlusione intestinale.

Di molti altri non si conosce la storia precisa, la si può solo intuire dalle statue incredibilmente realistiche e rifinite nei minimi dettagli. Sembra quasi di poter condividere la sofferenza di coloro che piangono il loro defunto, quasi sempre collocati alla base della tomba, sconsolati e tristi.

Il celebre Giuseppe Mazzini giace accanto alla madre Maria, sepolto sotto una tomba monumentale scavata nella roccia e posta in uno dei punti sopraelevati accanto ad alcuni dei Mille che con lui fecero la storia d’Italia (Settore E, Tomba numero 4, ma troverete le indicazioni per arrivarci).

Anche il poeta e cantautore Fabrizio De Andrè trova riposo qui, tra alberi secolari e vicoli che si snodano nel vento.

Molte storie colpiscono il cuore, come quella della piccola Entella Contini, morta a 9 anni divorata dalle onde con il suo salvagente lasciando i genitori colmi di dolore che qui apposero queste parole: “A 9 anni mentre andava alla carezza dell’onda e folleggiando sorridea alla vita”.

La piccola Entella Contini morta il 22 luglio 1921.

Tante storie di uomini gloriosi, donne, bambini, e persone qualunque senza memoria. Tutti esseri umani, con le loro debolezze e le sfide di una vita quotidiana molto dura, che molti di noi ignorano.

Potrebbe essere un'immagine in bianco e nero raffigurante monumento

Qui si può osservare cosa significasse il trapasso glorificato ma temuto, la morte che porta dietro di sé storie di dolore e sofferenza che tutti, ricchi o poveri, ci ritroveremo ad affrontare per forza di cose.

Serve a ricordarci che siamo tutti uguali davanti alla morte.

Non esiste ricchezza né monumento funebre che ci renda diversi (o maggiormente meritevoli) davanti a lei.

Letizia Turrà

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Image credits: Letizia Turrà, Cimitero di Staglieno, dicembre 2021.

La tua mancanza s’è fatta montagna

La tua mancanza s’è fatta montagna,

ghiaccio perenne che affonda nel cuore

ho provato a non pensarti, ho provato a odiarti

ho preteso di cancellarti come fossi un errore su un foglio scritto a matita

sarebbe bastata una gomma e magicamente ti saresti dissipata.

Non posso chiederti dove sei,

perché io so già dove sei: nel mio respiro, nel battito del petto,

sei nelle mani che qui sono rimaste a vegliare,

sei nella bocca che pronuncia parole,

nei sorrisi accennati che significano amore, rabbia, compatimento.

Sei nell’aria che respiro, nelle persone che incontro,

nelle foto che non sei stata tu a scattare,

nei silenzi che tanto amo, nelle mie provocazioni che a volte infliggo quasi non volutamente.

Sovente penso al fatto che ti ho amata perché sei distante,

perché non posso più averti, né goderti.

Forse se fossi sempre stata qui non ti avrei amata così,

non avrei apprezzato ogni tuo sguardo, né avrei compreso il tuo incedere lento.

Forse saresti stata un peso, o forse no.

La tua mancanza si è fatta montagna, è divenuta discesa e poi salita ripida.

A volte è più faticoso doverla sopportare.

Altre volte, è più semplice e tollerabile.

Eppure non mi dimentico di te neppure per un attimo.

Ti penso con l’incessante voglia di abbracciarti, con una ruggine che non si placa,

come un bambino che attende impaziente la mattina di Natale,

come la goccia che si affaccia dalla foglia esaltata per il fatto di cadere giù.

Letizia Turrà – To my mother

Contro la #violenza

#noallaviolenza #rispettoperledonne

woman's face

Troverai qualcuno che ti ami,

qualcuno che sappia quanto vali,

che ti tocchi solo per accarezzarti,

che ti stringa forte a sé consapevole che come te non c’è nessuno.

Troverai il bene sulla stessa strada che credevi di aver perso, a causa del male.

Troverai chi accetta i tuoi chili, le tue smagliature e le imperfezioni che spesso odi.

Troverai l’amore, proprio quando avrai smesso di aspettare.

Troverai il sole, e sarà bellissimo.

Tu…non smettere di cercare.

Letizia Turrà

L’amore di una mamma megattera

«Mamma è grossa, come una megattera. Anzi, la mamma è una megattera, perché sui suoi fianchi prominenti ci sorge il sole nei primi giorni d’autunno, quando stende fuori i panni che profumano ancora di sapone di Marsiglia e lavanda essiccata. Persino il suo canto ricorda quello delle balene di Dunkerque che vidi una volta sola, anche se nessuno mi crede. Ho chiesto a un sacco di persone al molo se avessero mai visto una megattera. Molti di loro mi hanno preso per pazzo, altri in simpatia perché forse hanno visto cose ancora più straordinarie di una balena, qui. Il respiro di mia madre quando stira assomiglia al fruscio delle onde che si sfregano fra loro portando sulla riva conchiglie e pesci morti. Amo il fiato caldo della mamma che si deposita sul centro della mia testa quando mi bacia la fronte, e poi la asciuga dalle goccioline di sudore. Sembra uno di quei soffi eterni destinati a non morire mai, proprio come le balene in balìa delle onde. Sento che la mamma è l’unica in grado di comprendermi, l’unica che sappia cosa mi passa per la testa. Proprio così, la mamma è la cosa più grande del mondo. E la mia, è una megattera».

Letizia Turrà
(2020)

📷Emma Hartvig

A prescindere da me.

Foglie secche che saltellano sulla statale come rane spaventate

Alberi scossi da un vento freddo e ostile

Tergicristalli esauriti da poche gocce di pioggia

Tutto cambia, a prescindere da me

Il tuo entusiasmo per le cose

L’ammorbidente che sceglierai

Il tuo proseguire e lentamente costruire

Tutto muterà, a prescindere da me

Un canto in lontananza

L’assenza, poi la mancanza

Il tuo sorriso nascosto, poi plateale

Il primo amore, le lettere strappate

Tutto avverrà, a prescindere da me

La tua lontananza per me disarmante

L’inchino davanti a un pubblico che sarà solo tuo

Le cose che non mi dirai per la paura di sbagliare

Gli errori che avrai commesso mentendo persino a te

Tutto questo sarà, a prescindere da me

I libri che ho scritto

Le pagine che i miei polpastrelli avranno solcato

I tuoi capelli stretti in un elastico

Quella stessa mano sulla tua spalla a dirti che andrà tutto bene

Tutto verrà cancellato, a prescindere da me

La felicità di sapere che nulla è eterno

Le pieghe di un vestito che mi starà stretto

Le critiche che ingoierò un giorno ridendo, e l’altro piangendo

Le rughe sul volto che faranno appassire gli occhi

I segreti che possiedo e che non rivelerò a nessuno

Questo tempo passerà, a prescindere da me.

Letizia Turrà

Pensiero del giorno #0410

gray and red happily ever after wooden signage

Non credo nei fuochi di paglia, piuttosto credo che i rapporti si formino lentamente come acqua che scorre spontanea, e senza forzature.

Un giorno può esservi il conflitto, il giorno dopo la compassione, quello ancora l’immedesimazione, e infine il dialogo.

Gli approcci affettuosi violenti mi spaventano, perché celano in sé un disequilibrio.

Preferisco costruire nella verità, che stare lì a smembrare pezzo per pezzo un sentimento nel quale ho creduto fermamente.

Letizia Turrà

#Pensiero del giorno 1709

girl walking towards the sea

Siamo CHI scegliamo di ESSERE.

Non ci sono trascorsi che tengano, se non siamo noi a stabilire che quello che molti definiscono “passato” dovrà segnare il nostro cammino.

Ogni giorno dovreste ripetere a voi stessi: Io non sono i miei genitori.

Non sono ciò che mi hanno insegnato o il male che mi hanno fatto.

Posso scegliere di essere diversa da tutto quello che mi è stato inflitto o che è stato erroneamente tramandato attraverso i dialoghi sbagliati, i pregiudizi sul mio aspetto, quelle idee imposte che non combaciavano con i miei bisogni.

Non concederò l’alibi a me stessa di pensare che quello che mi hanno fatto possa influire su come mi comporterò nella vita.

Ogni giorno dovreste ripetere a voi stessi quanto siete importanti per voi e per il resto del mondo e dimenticare, anche solo per un istante, il male ricevuto.

Letizia Turrà

Essere orfani

Hanno qualcosa di differente negli occhi, gli orfani.

A volte orfani di carezze o di attenzioni che rendano migliori l’esistenza; molto più spesso prede di un’assenza trasformatasi in solidità, e reale consapevolezza d’esser rimasti soli al mondo.

Gli occhi dell’orfano si modificano diventando lago ghiacciato; basta un colpo malfatto nella crepa, ed ecco fuoriuscire di colpo l’acqua, copiosa, inarrestabile, che tutto modifica e tutto spazza via in un sol colpo.


Hanno la tenacia di chi vuole difendersi, gli orfani, di chi lotta per donare un sorriso a qualcuno che si sente triste per i più disparati motivi.


L’orfano può essere molto empatico e al tempo stesso trasformarsi nel peggiore omicida che tu abbia mai potuto incontrare.


Il distacco è la parte più viva nel loro inconscio, non faticano a lasciare andare le persone perché la vita ha chiesto loro di essere forti, più forti della roccia che raffigura ogni privazione.


Hanno il coraggio iniettato negli occhi, gli orfani, e tanta rabbia che imparano a domare con virtuosità.


Hanno la solitudine nel cuore, gli orfani, poiché sanno che nulla ci appartiene veramente, che tutto è destinato a terminare, un giorno dopo l’altro.


Se incontrate un orfano, riconoscerete subito questi tratti distintivi della sua personalità.


Poiché essere orfani non è qualcosa che trasforma solo noi, ma anche coloro che si imbattono sulla nostra strada.

Letizia Turrà

Pensiero del giorno #0209

È così che faccio con tutto ciò che amo davvero: lo nascondo, sicura di stare proteggendolo.

Se assecondo troppo la luce del sole, temo di lasciare scoperto il cuore; così facendo rischierei di lasciare entrare chiunque si avvicendi.

Allora ancor più mi chiudo in me stessa, costruendo un involucro di sentimenti tutti differenti: il bene alla luce del sole, l’amore tenuto nascosto, al sicuro, dentro di me.

Letizia Turrà

Grazie per ciò che è stato.

È stato piuttosto triste, perché negarlo. Si diventa tristi anche quando si perdono piccole cose a cui davi valore; e non è necessario che fossero grandi di dimensioni, poiché erano grandi nel cuore.

Nove anni passati al nostro fianco, ti abbiamo accudito e amato oltremodo e sei diventato il quinto elemento della famiglia. Nove anni in cui tutti gli amici sorpresi si chiedevano come fosse possibile possedere un pesce rosso così longevo!

Sono stati tanti i momenti felici, che nel momento in cui sei morto, anziché piangere ho voluto (e ho dovuto) ringraziarti per quel che era stato.

Grazie per aver reso le nostre vite felici e piene, sei stato fortunato perché sei stato molto amato.

È questo che ho detto alle bambine quando sono scoppiate in un pianto inconsolabile.

Della morte non dovremmo piangere ma ringraziare con fiducia, con fede, e sapere che una vita ha senso se è stata sì ricolma d’amore.

Il tuo posto è vuoto ora, nell’aria la brezza estiva e in sottofondo il profumo di un sugo di pomodoro.

Guardo la boccia, ma non è più ricolma d’acqua. Vorrei si smaterializzasse da sola. Vorrei sparisse dalla mia vista.

Resto seduta qui, davanti a un computer a elaborare internamente quanto mi sta succedendo.

Sempre io a chiedermi come mai te ne sei andato proprio ora che mi sento più fragile, in un momento in cui un tuono è giunto a squarciare il mio cielo.

Non trovo, e non voglio forse, sapere se c’è una spiegazione. Ripeto a me stessa che devo essere sempre più forte, che non devo mollare, che devo ringraziare il vento che ora scuote leggermente i fili d’erba del mio giardino, che devo gioire per la mia vita ancora presente, anche quando sento che vorrei abbandonarla.

Grazie di tutto Nino. Grazie.

Leti.

#Pensiero del giorno

man sitting on brown grass field playing with smoke

Che male c’è se tutto quello che voglio è racchiuso nella semplicità?

Che male c’è se non pretendo nulla, se parlo poco, se scelgo accuratamente le persone con cui confessarmi, se l’unica felicità che ritengo di conoscere si cela dietro una nostalgia consapevole?

Cerco solo umanità in mezzo al nulla, perché nulla mi aspetto.

Voglio solo giornate verdi, campi incolti, spighe dorate.

Voglio un cielo sotto cui respirare e gambe, per camminare lentamente verso strade che non conosco.

Voglio acqua sul mio cammino che mi rinfreschi e sassi su cui inciamperò, per rimpiangere le mie scarpe.


Letizia Turrà

ph: Unsplash.com

Non è niente, sono qui; ci sono sempre, e ti aspetto.

My mother Maria Teresa

Io ti aspetto, ti aspetto sempre.

So che un giorno non molto lontano io ti ritroverò.

Mi affaccerò alla finestra, e là ti vedrò, con il tuo sorriso magnetico che mai potrò smettere di amare.

Sorrideremo insieme, e tutto mi sarà stato più chiaro e ogni dubbio verrà placato: il peso che per tutti questi anni ha attorniato il mio petto, gli incubi che tormentavano le mie notti, quel bisogno estremo di solitudine che mi portava a stare lontano da tutti, il senso enorme di vuoto seppure la mia vita fosse piena.

Giungerai con un vestito bianco e nel mio cuore proverò un sussulto alla sola tua vista.

Finalmente varcherò quel cancello che ci separa e ti stringerò la mano, forte, e tu farai lo stesso.

Abbracciandoti annuserò l’odore dei capelli tuoi ormai sbiaditi; sapranno di rosa e di un mare cobalto; la tua stessa pelle saprà dei coralli che imprigionano i pesci e i tuoi occhi saranno il miele che scorre sugli alberi in primavera; le tue parole saranno il suono caldo d’agosto e le tue labbra, l’afa dopo una pioggia copiosa.

Io ti aspetto, ti aspetto sempre. Ti aspetto come l’alba aspetta il giorno, e il declino del giorno la notte.

Sei parte dei ricordi in cantina, delle parole ammassate nei miei libri, delle pagine di un vecchio quotidiano, dei sorrisi delle mie figlie, dell’orgoglio di appartenere a te e a papà, dei giorni in cui ti ho odiato e poi ti ho compianto, del declivio che ha accompagnato le mie perenni salite.

Auguri mia amata, dovunque ti trovi, io ti sono accanto proprio tanto, e come ogni persona che ama, ti aspetto.

Io ti aspetto, ti aspetto sempre.

Letizia Turrà

(Dedicato a mia madre per i suoi 56 anni non compiuti)

46 Cose da sapere per diventare #saggi

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Ci sono diverse cose che dovremmo sapere se vogliamo raggiungere la saggezza:


Saper lasciare andare ciò che non ci appartiene perché mai niente ci apparterrà davvero.

Saper proseguire dopo una delusione cocente.

Saper credere che esiste la bellezza collaterale, e che essa governa questa Terra.

Saper sorridere e accantonare le sconfitte.

Saper dire “NO” quando occorre.

Sapersi dire SI con l’autentica voglia di premiarsi.

Sapersi guardare allo specchio, senza vergognarsi di quel che siamo diventati.

Saper dire ai nostri figli cosa veramente ci fa male, e abbracciarli forte, perché ci insegnano miliardi di nuove nozioni oltre a nutrirci di emozioni che costituiranno i nostri reali valori.

Sapere accettare anche un’esistenza senza figli, perché quello che conta è essere fieri delle proprie scelte.

Sapere che invecchiando potremmo diventare come i nostri genitori, se non peggio.

Sapere che tutte le persone hanno dei limiti e non dobbiamo per questo biasimarle.

Sapersi complimentare con chi ha fatto un ottimo lavoro.

Sapere che ci sarà sempre qualcuno che non riconoscerà il nostro operato, e mancherà di rispetto al nostro ruolo.

Saper godere della felicità emanata da un altro che ha raggiunto un traguardo per noi difficile.

Sapersi complimentare con chi fa scelte che noi non comprendiamo, perché la scala di priorità di ciascuno di noi è differente, e tutti vanno rispettati.

Sapere che i confronti della nostra vita con quella altrui non servono a nulla, ma proprio a nulla, se non a renderci infelici.​

Sapere accettare le diversità e difenderle con i denti, se necessario.

Saper festeggiare in ogni momento.

Sapere quando è il momento di restare in silenzio.

Sapere quando è giusto parlare, e schierarsi nei confronti di qualcosa che ci rappresenta.

Sapere che siamo ricchi un giorno e poveri un altro, senza farne un dramma.

Sapere evitare con destrezza certi pettegolezzi o maldicenze.

Sapere valutare tutte le informazioni che ci vengono date, con raziocinio.

Sapere che ci sarà sempre qualcuno che vive per noi e attende una nostra telefonata.

Sapere che talvolta le persone rimangono nel nostro cuore, ma non per forza nella nostra vita.

Sapere che ci sarà sempre qualcuno che fa qualcosa meglio di noi.

Sapere che possiamo solo imparare da chi ne sa più di noi.

Sapere riconoscere i segnali del nostro corpo, imparando a rispettarlo.

Sapere che ci sono cose che non si possono comprare.

Sapere accettare che alcune cose che si possono comprare, non rientrano tra quelle che possiamo economicamente permetterci.

Sapere gestire le compulsioni e le ossessioni.

Sapere che uno schiaffo oggi, può tramutarsi in una carezza domani.

Sapere che se un giorno ci sentiremo feriti, ne giungerà subito un altro in cui saremo noi a ferire.

Sapere che esiste una causa-effetto per ogni cosa.

Sapere che esistono il bene e il male.

Sapere scegliere quali fra le due cose si desidera applicare senza dimenticare gli esiti.​

Sapere che esiste un coraggio oltre le nostre paure.

Sapere che niente è così piccolo e insignificante al punto da doverci far sentire più grandi.

Sapere che le apparenze ingannano, eccome. 

Sapere piantare un albero, coltivare un orto, stringere la terra tra le mani.Saper praticare tutto con passione.​

Sapere quando è il momento di partire.

Saper decidere quando è il momento di restare più a lungo.

Saper pronunciare parole sensate come “grazie”, “ti penso”, “ti voglio bene”, “ti amo”.

Sapere che non si può piacere a tutti, e che comunque non è assolutamente necessario che questo avvenga per forza, per sentirci compiaciuti e accettati.​​

Sapere che sempre, qualunque cosa staremo attraversando, nonostante la vita ci sottoporrà a delle prove che non possiamo superare, esiste una forza enorme, potente, grandiosa senza la quale non potremmo vivere.

Sapere perdonare tutti coloro che non sono stati come avremmo voluto, e perdonare e abbracciare noi stessi, più spesso di quanto già non facciamo.


Letizia Turrà ​

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