“Ci sono due tipi di dolore: il dolore che fa male, e il dolore che ti cambia”.

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“Ci sono due tipi di dolore: il dolore che fa male, e il dolore che ti cambia”.*

È stato come se questa frase fosse sempre dimorata dentro di me, come se mi fosse sempre appartenuta, come se avessi da sempre voluto scriverla ma non avessi avuto con me il  taccuino né una penna per puntellarla sul palmo della mano, così da poterla ricordare.

Come un cassetto pieno di indumenti che esplode quando viene aperto è giunta dritta al petto, e mi ha fatto riflettere proiettandomi verso qualcosa che sembrava stesse comunicando proprio con la sottoscritta.

Mi ha fatto pensare che il più delle volte il dolore è da ricollegarsi ad una vera e propria felicità provata in precedenza, impalpabile ma vera, più di ogni altra cosa.

Perché spesso accade che tu sia felice e che arrivi a ritenere quella felicità troppo forte, quasi non adeguata al tuo stato di sempre. Sei sempre stato abituato a doverla ricercare in ogni anfratto della tua quotidianità, piuttosto che avvertirla in maniera istantanea e forte, come fosse un’influenza che pervadeva il tuo intero corpo e lo scuoteva con febbricitanti vertigini.

Lasci che sia il senso di colpa ad aleggiare nella tua mente, senza invece pensare che quella felicità te la sei meritata.

Così facendo spontaneamente te ne privi e ricominci a vivere come sei sempre stato abituato a fare, tornando di tanto in tanto sulla volontà di afferrare qualcosa che era già tangibile prima ma che ora è lontano; tale sforzo si prolungherà per tutta la vita fino a quando invecchierai senza neppure essertene reso conto. Forse ciò accade perché prima che tu riesca a vedere il tuo riflesso allo specchio il cervello impiega alcuni secondi dei quali ignori completamente l’esistenza; così finisci come gli anziani non più in grado di ritrovare quella felicità se non nell’istante in cui l’avranno associata al dolore più acuto, quello della “mancanza“.

Il dolore sopravviene in noi come una ferita aperta e provoca lo stesso bruciore, soltanto in maniera inversa rispetto alla felicità. Brucia e non procura più alcun benessere.

Come un lutto quel dolore ora va elaborato, cambia radicalmente il nostro modo di vedere il mondo circostante e di vedere il nostro riflesso perché banalmente (risulta superfluo ribadirlo), fa male per davvero.

Allora forse dovremmo prendere la felicità per mano quando arriva e non sentirci in colpa perché siamo stati una volta tanto, finalmente, enormemente, FELICI.

Ma vallo a dire alla nostra coscienza che non è così che si fa. Lei non vuole mica saperne dei nostri quesiti. Lei ama sentire il dilemma della “colpa” e farti avvertire il disagio, l’inadeguatezza.

Certi dolori ti cambiano, così come certe felicità che ti sei voluto concedere, è innegabile.

Proprio per questo motivo si deve abbandonare ogni senso di colpa e vivere la propria felicità, per quanto essa duri meno del dolore come ultimo lascito del suo passaggio.

Einstein sosteneva che ci sono due modi di vivere la vita: Uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa è un miracolo.

È così che voglio pensarla: voglio ringraziare anche il dolore perché è servito a formare ogni mio giorno, ogni frammento di vita che ho compreso proprio grazie a lui perché sono cambiata nel modo migliore in cui si potesse cambiare; ho amato più di prima, ho sorriso sapendo che la sofferenza è sempre dietro l’angolo che mi aspetta, ho capito che non devo più tenere nulla dentro di me rischiando di morire dentro; ho compreso che il dolore è vita: la mia vita, la vostra, quella di tutti noi. E non intendo privarmene.

Si guarisce da tutto, anche da un dolore emotivo che ti cambia.

Tenta di realizzare che non sarà lui a nuocerti. È come lo affronterai che cambierà il tuo scenario.

A presto, Letizia Turrà

*Tratta dal film: The Equalizer 2” (2018)

ph: Web

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